Pre-occuparsi

Quel sano pensare prima di agire.

Annamaria Guarnera– psicologa, psicoterapeuta, MAMMA. 
RACHELE NICOLUCCI – INSEGNANTE DI LETTERE, MEDIATRICE FEUERSTEIN, MAMMA
Primo articolo della Rubrica “Apprendere dai Bambini

Decidiamo di dare vita a questa Rubrica, Apprendere dai bambini, facendo appello a un primo verbo della lingua italiana che rispecchia perfettamente un sentire e un agire che nella esperienza di cura, sia essa cura materna, cura scolastica, cura educativa, diventa tanto tipico e rappresentativo della relazione stessa quanto significativo per entrambi i protagonisti della relazione di cura.
Diamo la parola alla dottoressa Guarnera, psicoterapeuta e mamma, che ci introduce all’argomento regalando spunti di crescita teorica e di riflessione personale.


Sono una psicologa e psicoterapeuta, ma nel momento in cui è venuta al mondo la nostra bambina, ho scoperto di vivere una grande occasione, quella di sperimentare sulla mia pelle tanti dei processi e delle dinamiche affrontate negli anni di formazione e di lavoro e mi piacerebbe condividere con voi qualche riflessione a riguardo, partendo da alcune parole che possano essere da spunto.
Il verbo con cui iniziamo, “preoccupare”, dal latino praeoccupare, letteralmente significa occuparsi prima, prevenire, e rimanda allo stato d’animo di chi è intento a cercare soluzioni o rimedi a situazioni problematiche o ad eventuali pericoli futuri.


D. Winnicott, un autore a me molto caro, fu uno psicanalista che lavorò per molti anni in pediatria con i bambini e i loro genitori e introdusse il concetto di “preoccupazione materna primaria”, intendendo un complesso stato psicologico che la madre attraversa fin dai primi momenti della gravidanza, una particolare sensibilità che porta la donna a mettere in primo piano il bambino, a sintonizzarsi con i suoi bisogni ancora prima che egli venga alla luce. Winnicott paragona questo momento ad uno stato di ritiro, di dissociazione o persino di disturbo più profondo, simile alla malattia, durante il quale la donna si ritira da tutto ciò che non concerne il proprio bambino.

Tale condizione dura generalmente fino a qualche settimana dopo il parto.

Questo tipo di sintonizzazione apre le porte a emozioni del tutto nuove e di fortissima intensità, funzionali proprio all’ascolto e alla comprensione dei bisogni del bambino.


Tuttavia, la simbiosi che si crea tra la mamma e il neonato è destinata a prendere altre forme, ad evolversi: Il bambino chiede che vengano soddisfatti tempestivamente tutti i suoi bisogni, ma ha anche la necessità di vivere graduali frustrazioni, parallelamente allo sviluppo della capacità di tollerarle. Inizia così una “danza” che impegnerà madre (e padre) e bambino per molti anni, una continua ricerca di equilibrio tra il pre-occuparsi di soddisfare bisogni e richieste del bambino e l’intento di sostenere la capacità di tollerare le frustrazioni per incentivare una sempre più crescente autonomia.
La madre gradualmente abbandonerà la simbiosi con il proprio figlio quando avvertirà in lui un graduale bisogno di distaccarsi e, anche se in alcuni casi può essere faticoso, si costituirà per il bambino un porto sicuro da cui il bambino possa partire per esplorare il modo e a cui possa far ritorno ogni qualvolta sia in difficoltà o ne senta il bisogno.

Annamaria Guarnera


Cosa ci stanno permettendo di sperimentare i nostri figli a proposito del preoccuparsi.
La nostra esperienza.

Esperienza di preoccupazione fuori dall’ordinarietà: la notizia stessa della trisomia e‘ stata per noi fonte di preoccupazione

Poco dopo aver conosciuto il nostro primo bambino, Samuele, negli attimi in cui cioè iniziavamo a comprendere che davvero stavamo diventando finalmente genitori, per noi iniziavano anche le vere preoccupazioni. Non si trattava solo di dover fare i conti con noi stessi, chiedendosi, come fanno tutti i neogenitori: sarò in grado di… riuscirò a… sarò bravo come papà, sarò una buona mamma, sopravviverò a tutto questo sonno? Ecc… ecc…

non si trattava solo di dover rielaborare veramente l’idea che in quei nove mesi di attesa ci eravamo fatti di lui e trovare equilibri tra desideri-timori-paure-pregiudizi-sentimenti ed emozioni. La faccenda era assolutamente più complicata e complessa del previsto.

Non si trattava solo di tutto questo… ma anche del fatto che il nostro straordinario percorso da genitori ha avuto un imprinting che non avremmo mai desiderato, ovvero quello delle preoccupazioni, nel senso di timori, dubbi e paura rispetto alla sua salute: così abbiamo trascorso i suoi primi OTTO giorni di vita forzatamente in ospedale (ero ancora poco consapevole rispetto i miei diritti e doveri) permettendo al personale sanitario di mettersi ostinatamente alla ricerca di qualcosa che in lui non andasse. Risultato?
Tutto perfetto. Nessuna anomalia, oltre quel minuscolo e così significativo cromosoma in più…


Il contributo del papa’: preoccuparsi in modo pragmatico

La nostra esperienza di pre-occupazione per un figlio quindi comincia nutrendo diverse e intense sfumature: così, finché la mia mente femminile mi proiettava violentemente in un mondo di preoccupazioni (nel senso di timori, ansie, inquietudini) rispetto il futuro che sarebbe stato per lui e con lui -“Cosa sarà del futuro tuo, bambino mio?” Pensavo stringendolo a me a solo qualche giorno di vita-, invece, fin da subito, mio marito ha fortunatamente adottato una stretegia differente, più concreta e realistica.

Houston, we have a problem*: siamo fuori pista. Ok dottoressa, abbiamo capito. Ora ci dica: in che modo possiamo sostenere al meglio la crescita di questa creatura?


Ovvero: in che modo possiamo occuparci di questo bambino? Da dove iniziamo?



Ripartiamo, ovvero Mi sintonizzo su mio figlio

La consapevolezza di quel cromosoma in più ha sicuramente favorito in me, la sua mamma, una intensissima esperienza di preoccupazione materna primaria, permettendomi di investire in modo attivo mie energie e tempo sulla nostra relazione, madre-figlio, di sintonizzarmi davvero sui suoi bisogni e sulla sua formazione fin da subito, e di ascoltare l’idea che io stessa, nel mio profondo, custodivo della maternità.

Nei primi mesi, e ancora oggi è così spesso, una parte delle nostre pre-occupazioni nei confronti di entrambi i bambini si concentrano letteralmente e principalmente sul voler “prevenire” a cui accennava la dottoressa Guarnera, nel tentativo quindi di cercare soluzioni o rimedi a situazioni che noi adulti sentiamo problematiche per loeo o ad eventuali “pericoli”/difficoltà futuri.


Ricordo, per esempio, che trascorso il primo mese di vita, tra ospedalizzazione, ritorno a casa, numerose visite mediche e miei tentavi di “atterraggio” su questa Terra in modalità “genitore fuori pista”, di esserci messi immediatamente alla ricerca di specialisti competenti che potessero sostenere -in assoluta sintonia con noi genitori- la crescita del nostro cucciolo e di noi stessi.

E dunque: chi può aiutarci in modo competente a gestire le nostre preoccupazioni e a trovare una risposta reale e fruttuosa ad esse?

Di alcune di queste significative esperienze abbiamo già raccontato in alcuni articoli: per esempio in questo articolo oppure in questo.


Un modo positivo di preoccuparsi: prevenire = mediare e Pensare prima come gestire il tempo insieme

La nostra danza di crescita ci ha poi riservato tante altre occasioni di sana pre-occupazione: un modo che stiamo sperimentando come molto funzionale al benessere dei bambini e alla loro crescita consapevole è quello legato all’azione di mediazione da parte dell’adulto di riferimento. Dunque, ci preoccupiamo anche di rendere comprensibile e spendibile dai bambini quanto avviene in loro e fuori di loro, nel contesto del presente ma pure al di là della specificità del qui ed ora. Abbiamo a cuore che la loro inesperienza o difficoltà non creino solchi importanti tra loro e gli altri, o in loro stessi. Quindi, quando ad esempio capita uno confronto-scontro con un altro bambino, o quando impariamo qualcosa di nuovo di astratto, e in molte altre situazioni non subito comprensibili o gestibili da loro, ci preoccupiamo di rendere

accessibile, significativa e anche costruttiva quella esperienza. Soprattutto se si tratta di un bimbo che fa fatica.
Inoltre, in generale, ancora oggi preferiamo occuparci prima di qualcosa che riguarda Samuele e Gabriele, nel senso che ci sembra più efficace proporre delle esperienze rispetto alle quali noi genitori siamo ben informati; oppure poter dedicare tempo e energia al pensare come gestire un tempo insieme a loro, quale proposta fare ai bambini, senza lasciare troppo spazio alla casualità o alla improvvisazione (che è altra cosa rispetto alla libertà e spontaneità). E questo lo chiediamo naturalmente anche agli altri adulti e specialisti a cui affidiamo un pezzettino dei nostri bambini.

Di questo aspetto organizzativo ne parlo un po’ più specificatamente in questo articolo.


Preoccuparsi delle situazioni: Consapevolezza di bisogni e capacità Del bambino

Pre-occuparsi nel senso di essere consapevoli di bisogni, limiti e punti di forza, non solo del piccolo ma di tutto il nucleo famigliare, e quindi pensare prima e valutare prima a quali situazioni esporre il bambino in un certo contesto/relazione/esperienza… Ha senso mettere un bambino molto piccolo in una situazione che non è ancora in grado di gestire e rispetto alla quale gli adulti non sanno/possono fornire modelli di comportamento positivi? Ha senso esporlo a delle occasioni di istruzione che non sono incisive e significative per la sua vita?
Mi viene in mente, come esempio significativo per noi, che in questi anni, la nostra scelta del gruppo di psicomotricità relazionale da proporre a Samuele non si è basata fondamentalmente sulla comodità del giorno o dell’orario (pur dovendone tenere conto), ma è per noi è stato prioritario capire se uno specifico gruppo potesse essere adeguato per Samuele, per il quale ad esempio non riteniamo opportuno stare a diretto e prolungato contatto con bambini che manifestano aggressività reale o una fisicità esasperante.


Quel non sano preoccuparsi: quando a prevalere non sono i suoi bisogni

Ci sono delle situazioni e contesti in la preoccupazione di un genitore acquisisce sfumature non più adeguate, e questo può capitare a ogni età: i bambini, generalmente, sono bravi a indicarci che stiamo entrando in una zona rossa! Sono le volte in cui si verifica uno squilibrio tra le richieste e necessità del figlio (implicite o esplicite) e l’adulto che, a priori, o comunque dando priorità ai propri bisogni, nega alcune possibilità al figlio.
In alcuni casi è difficile, certo, mettere a freno le proprie paure e ansie personali o non proiettare sui figli i propri vissuti, ma l’amore che nutriamo per ogni nostro figlio che ci “solletica”, può essere l’occasione per oltrepassare le nostre paure, tentando di vivere privilegiando una dimensione di fiducia nei confronti della nostra esistenza stessa.
Così ci è successo quando, andando al di là dei soliti pregiudizi, abbiamo accolto i segnali di Samuele e sostenuto nel suo voler togliere il pannolino (questo l’articolo in cui lo racconto) sebbene in molti ce lo avessero sconsigliato, oppure in questo periodo di emergenza sanitaria in cui io e mio marito stiamo tentando di trovare un sano equilibrio tra la preoccupazione, fondata, per la sua salute, più fragile di altri, e il suo bisogno di piena appartenenza a questo mondo: i bambini ci spingono ad andare oltre.


Quando il pre-occuparSi puo’ diventare occuparsi

Crescendo i nostri bambini, acquisendo dunque più consapevolezza di se stessi e anche più strumenti verbali, autonomie più complesse, abilità e competenze, e crescendo anche noi come loro genitori e individui, alcune situazioni e contesti che fino a poco tempo ci richiedevano un atteggiamento di cura in modalità preventiva, un pre-occuparsi insomma, oggi le viviamo in una dimensione di maggiore autonomia dei bambini: semplicemente occupandocene nel momento in cui capitano.
Così, ad esempio, lasciamo che i bambini si mettano alla prova in determinate circostanze da loro desiderate, intervenendo solo se richiesto da loro (in modo implicito o esplicito) o se la situazione è evidentemente pericolosa, e non necessariamente quando la nostra mente di adulti percepisce un lontano “allert”, che non è detto poi corrisponderà realmente a una situazione problematica. E il nostro intervenire vorrebbe essere sempre, ma a volte è difficile, un occuparsi dei nostri figli insegnando loro a reagire in modo opportuno e rispettoso di sé stessi e degli altri.

Questo significa anche che non evitiamo ai nostri bambini, quando necessario, di vivere situazioni di sana frustrazione, né quelle che potrebbero diventare di difficile gestione. Semplicemente le attraversiamo insieme: ci passiamo in mezzo, ce ne occupiamo re-stando saldi dentro la “tempesta” emotiva, facendoci porto sicuro per loro.
O almeno ci stiamo provando a insegnare loro a occuparsi, e a preoccuparsi, correttamente di se stessi!

Rachele Nicolucci

*Houston, we have a problem. Il problema che avvertivamo in quel periodo era quel cromosoma non aspettato. Non il bambino, che abbiamo, invece, amato sempre moltissimo fin dal primo istante, al punto da non voler cambiare nulla in lui ♥️

Rachele Nicolucci
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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