Il sovraccarico informazionale e la formazione continua

Questo articolo risponde all’asse Padova – Roma – Ariano Irpino: l’ho pensato e formato a Padova, rimaneggiato durante il breve soggiorno romano, pubblicato on line da Ariano nel giorno del matrimonio di un caro amico di infanzia. Non sono riuscita a rispettare il giorno del terzo giovedì del mese, concordato con me stessa, per pubblicare i nuovi articoli. Per me rispettare un appuntamento è importante ma, nella verità della vita ordinaria, esiste anche la possibilità del non farcela. Tanto più se si tratta di una regola data da sé stessi, per me è importante esserne consapevole e reagire di conseguenza.

Il saper prestare aiuto è questione di quantità di informazioni acquisite?

E cioè: posso essere di aiuto proporzionalmente alla quantità di informazioni che immagazzino, leggo, ascolto? Più titoli di studio ho e maggiormente possiamo essere di aiuto a chi da solo non ce la fa a apprendere correttamente? Più corsi frequento, più videocorsi acquisto e più riesco a proporre aiuto?

Proviamo a capire insieme queste dinamiche di apprendimento che riguardano noi adulti.

Il concetto di sovraccarico informazionale

Il concetto di sovraccarico informazionale risale agli anni Sessanta, quando si passava da una società industriale a quella informatizzata, e già allora si percepiva la differenza di quantità di informazioni e dati che, così, maggiormente circolavano tra la popolazione.

La società di oggi è, invece, definita società dell’informazione e in essa: “le nuove tecnologie informatiche e di telecomunicazione assumono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle attività umane. […] In termini più generali, gran parte delle informazioni e delle conoscenze del genere umano può essere riprodotta, o generata, in modo digitale a costi sempre più bassi. Il progresso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sta cambiando il modo di vivere, di lavorare, di produrre e distribuire beni e servizi, il modo in cui si formano le nuove generazioni, come si studia e si produce ricerca, come ci si diverte” (fonte Treccani).

Negli anni Ottanta, Orrin Edgar Klapp, conia l’espressione information overload, e cioè sovraccarico informativo, definendola come la situazione in cui “l’informazione a disposizione eccede la capacità dell’utente di elaborarla“. Mi pare che il concetto di sovraccarico informativo possa descrive bene la situazione di molte persone di oggi che, desiderando essere di aiuto allo sviluppo e apprendere dei bambini di cui si prendono cura, rischiano però di sentirsi poi schiacciati dal peso della quantità informazionale.

Strategie per fronteggiare l’information overload

Infatti è proprio su questo che voglio provocare un tuo pensiero perché è importante il tuo riflettere rispetto il tuo modo di porti davanti all’informazione e quindi anche al tuo apprendere.

Oggi, più che ieri, siamo sottoposti a un vero e proprio bombardamento di informazioni sia nella vita reale che in quella digitale (che poi tanto solo virtuale oramai non è più): addirittura potremmo ricevere contenuti anche senza averli ricercati.

Penso per esempio alla dinamica di funzionamento della tv (che noi non guardiamo più) e soprattutto dei social, di Instagram specialmente: basta aprire Instagram e, pur non toccando lo schermo, assistiamo -anche passivamente quindi- alla rotazione di contenuti che IG reputa più interessanti per noi, con cui quindi intrattenerci e farci passare tempo sulla piattaforma, sulla base delle nostre precedenti interazioni o facendo lui stesso delle prove con noi.

Quando poi, a seguito di questo bombardamento non desiderato e non gradito, si sente l’esigenza di allontanarsi dallo strumenti di comunicazione, si parla allora di DETOX da social media. Il detox è la possibilità, necessaria molte volte, di “disintossicarsi” da questi strumenti che effettivamente offrono una tale abbondanza di informazioni e di input da creare, paradossalmente, confusione, ansia, stanchezza, stress e dipendenza: una vera e propria intossicazione.

Allontanarsi categoricamente dallo strumento servirà a poco se poi, rientrati, continueremo a usarlo allo stesso modo. Una strategia utile, sperimentata anche da me, per trovare un proprio equilibrio e benessere, senza arrivare ai limiti della percezione di “intossicazione” è quella del cossiddetto DECLUTTERING: il selezionare, scegliere, i profili da seguire, in relazione alla qualità e quantità di informazioni che tramite loro arrivano alla nostra mente e quindi vita.

Esercitare la libertà di scelta anche sui contatti social da seguire e da cui essere seguiti è sicuramente un atto di grande consapevolezza e responsabilità verso il proprio benessere. E questo è valido in riferimento a ogni tipo di contatto che viviamo, che sia reale o digitale. Così lo stesso ti invito a fare con i podcast e i blog che segui, con le radio o le trasmissioni tv: scegli di circondarti di cosa crea benessere in te. Semplicemente scegli ciò di cui nutrire la tua mente. E quindi vita.

Se quindi non trovi ispirazione in un blog, podcast, profilo IG, gruppo Facebook o ti accorgi che i messaggi che ricevi ti creano ansia di prestazione, inquietudine, preoccupazioni, senso di inadeguatezza… puoi sempre scegliere di prenderne le distanze: avere cura del proprio benessere è importante ed è il primo passo per favorire un apprendere di qualità.

E lo stesso vale naturalmente nei confronti di Sindrome da Apprendimento: resta se trovi energie e ispirazione tramite cui arricchire la tua vita.

Formazione continua: sì o no?

E in questo modo arriviamo alla questione centrale di questo articolo, che è un aspetto collegato a quanto detto fin qua, e cioè quello relativo alla quantità e qualità di informazioni che riceviamo attraverso i vari corsi, video-corsi, master, percorsi universitari e occasioni di formazioni che scegliamo per noi stessi.

Credo moltissimo nel valore e nella necessità di una formazione continua, soprattutto quando si sceglie di essere professionalmente un agevolatore di aiuto o si è maestro, docente. Quando cioè si sceglie per sé stessi una figura professionale che, attraverso il proprio agire, può diventare realmente differenziale di sviluppo per le persone che incontra, è, a mio avviso, fondamentale continuare a formarsi, e quindi a incamerare input, ma non solo collezionare dati e informazioni.

Ciò che determina la qualità della formazione e dell’informazione acquisita è il fatto che sia stata elaborata, a modo proprio dell’adulto che apprende.

Se mi segui da un po’, sai che sono molto curiosa intellettualmente, che non ho mai smesso di studiare e di formarmi, tanto più da quando sono diventata madre di Samuele. La scelta del mio percorso formativo è guidata dalla mia volontà, intenzionalità e interessi intellettuali, ma soprattutto scelgo ciò che mi permette di comprendere meglio. E’ il motivo per cui oggi mi occupo di neuropedagogia.

Quindi assolutamente sì alla formazione continua, ma non alle “ricette confezionate” da altri.

Elaborare informazioni crea apprendimento.

Formarsi, sviluppare competenze, è questione di elaborazione, non di ripetizione.

Valuto il valore di ciò che un corso mi offre anche considerando lo spazio e tempo il che viene riconosciuto all’agire mentale degli studenti. Nel mio percorso di formazione post universitario, e quindi durante i miei primi anni di servizio come docente, ho inizialmente incontrato formatori interessati a trasferire informazioni per lo più esclusivamente già confezionate e il messaggio trasmesso era “si fa così”, “funziona così”. A quel tempo, per me, ricevere un protocollo da seguire era certamente comodo, inglobare nella mia cassetta degli attrezzi cioè indicazioni precise e rigide circa non solo i contenuti e abilità da proporre a mio figlio o (ex) alunni, ma anche l’ordine con cui affrontarli poteva essere in un certo senso rassicurante anche per me, che ero all’inizio della mia carriera e non ancora esperta. Così comprendo l’esigenza che oggi molti genitori e docenti avvertono di ricevere “ricette preconfezionate”: per il genitore che professionalmente si occupa di altro o per un docente non esperto è comodo in termini di applicazione, ma sicuramente non può essere indice di personalizzazione, flessibilità e metacognizione. Così, crescendo e ampliando i miei orizzonti formativi, ho compreso quanto sia, invece, fondamentale era molto comodo in termini di applicazione.

Scelgo chi crea indipendenza cognitiva in me, senza temerla.

Per un Maestro, per chi ha a cuore la formazione e la implementazione delle competenze di genitori o di insegnanti e agevolatori di aiuto, la più grande soddisfazione dovrebbe essere quella di aver permesso, tramite il proprio intervento formativo, modificabilità cognitiva nei propri studenti.

Quello che farà la differenza e che dirà del valore di una certa esperienza formativa non è la quantità di informazioni e di elementi che ti daranno o la novità degli stessi ma la loro qualità.

Ovvero focalizzati su questi due aspetti:

  • su quanto è importante per il formatore che tu possa rielaborare a modo tuo, e non a modo suo, quanto lui propone e a partire dalla tua personale esperienza, quanto cioè il formatore facilita e favorisce la tua modificabilità strutturale e quanto egli accetta che tu possa fare le stesse cose in modo diverso dal suo;
  • sul tempo e spazio che tu concedi a te stesso o a te stessa per riformulare a modo tuo, per esplorare, per ragionare e provare, per comprendere quale significato abbiano quelle info nel tuo agire personale e professionale.

La nostra mente non funziona al meglio se esercitata come un ripetitore passivo: questo modello di apprendimento è ormai largamente superato. Non creiamo apprendimento, e quindi competenze e vera indipendenza cognitiva, nei nostri studenti così come in noi adulti in-formazione, ripetendo meccanicamente o applicando a memoria quanto altri vogliono trasmetterci: state alla larga da chi vuole solo vendervi qualcosa, tanto più se si tratta di un prodotto autocreato e senza evidenti basi di studio e riferimenti scientifici costantemente aggiornati.

Non abbiate paura di esprimere le vostre perplessità, dubbi o di chiedere nuovamente spiegazioni perché un concetto non appare chiaro. Altrimenti si rischia di andare in sovraccarico informativo e di non comprendere fino in fondo il valore delle informazioni che mi stanno proponendo.

La tua curiosità intellettuale ti guidi alla qualità e all’eccellenza

Una persona curiosa intellettualmente è portata, in modo naturale, a esplorare continuamente nuovi orizzonti, a voler comprendere di più, a voler sapere ancora, a voler conoscere altri punti di vista. Il rischio che si corre è quello di auto-ingozzarsi di informazioni che restano in superficie, perciò di disperdere le proprie energie e pensieri.
Già Seneca aveva intuito che “troppi libri sono dispersivi” e che “povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più”: è cioè importante autoeducare prima di tutto noi stessi, adulti, a far conto di quanto abbiamo già acquisito come input e credere nel valore necessario della rielaborazione significative per la nostra vita, possono davvero dare forma alla nostra mente. E allora qualsiasi tipo di in-formazione si fa formazione. Infine, ricorda: la formazione di qualità è quella che rispetta il ciclo input – elaborazione – output. Non aver paura di restituire al mondo la migliore versione di te stessa, arricchita di nuove esperienze e pensieri: c’è bisogno di ognuno di noi per innovare il modo in cui educhiamo e formiamo i nostri figli, per costruire inclusione.

Per approfondire l’argomento Detox digitale e decluttering, puoi usare questo articolo: clicca qua.

Se vuoi farmi qualche domanda più specifica su questo argomento, puoi scrivermi in privato o inserire il tuo pensiero nei commenti all’articolo (in “rispondi”)

Rachele Nicolucci
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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2 commenti su “Il sovraccarico informazionale e la formazione continua”

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