Fidarsi è bene. Fidarsi dei bambini è meglio!

Sollecitata da una lettrice, riprendo in mano un discorso complesso e delicato, davvero molto importante, che riguarda il tema della responsabilità genitoriale, che, lo sapete, tanto mi sta a cuore. Lo avevo espresso velocemente in un precedente articolo in cui parlavo di approcci alla didattica, ma mi rendo conto che è bene mettere a fuoco alcuni aspetti della responsabilità genitoriale.

Nell’articolo precedente dicevo che, dal mio punto di vista, quando si parla di apprendimento, i veri “esperti” sono proprio i protagonisti che vivono il processo di apprendimento in oggetto: i veri maestri sono gli studenti stessi, bambini e ragazzi.

La mia forma mentis di qualche anno fa era diversa da quella attuale, ed infatti all’inizio di questa nostra avventura genitoriale ci siamo molto affidati al parere degli esperti. Quasi esclusivamente. Anche perché fare il genitore del primo figlio è piuttosto complesso, a tratti può essere pure difficile: nessuno ti prepara veramente a essere genitore, figurati quando scopri di una disabilità nel tuo Bambino. Alcuni esperti scelti li abbiamo incontrati in presenza, altri dentro libri e corsi, di cui ho nutrito la mia mente leggendo ciò che trovavo disponibile, formandomi, ascoltando e pensando che avrebbero potuto dirmi loro come fare con mio figlio, in molti ambiti della vita.

A un certo punto mi è stato chiaro che, quando un genitore incontra un esperto, pensando di affidargli un pezzettino del proprio Bambino (il logopedista, il fisioterapista, il neuropsicomotricista, il musicoterapeuta, l’insegnante, ecc ecc) c’è spesso un grosso problema (anche) di comunicazione, di prospettive, di approccio, di contenuto e di stile: e cioè, la maggior parte delle informazioni che venivano date dagli esperti a me e Alessandro non erano ad ampio respiro, nel senso che non trasmettevano l’idea di possibilità, di sviluppo come lo intendo io, non contemplavano la possibilità di trovare soluzioni realmente soddisfacenti per accompagnare questo splendido bambino, e soluzioni che lui stesso, un giorno, avrebbe potuto scegliere in un percorso di crescita personale.

Il messaggio che troppo spesso noi percepivamo era: il piccolo Samuele potrà da A a B. La sindrome di Down comporta dei limiti e dentro questi limiti Samuele starà. E voi con lui.

Punto.

La maggior parte degli esperti che abbiamo incontrato (fortunatamente non tutti!!!) in una fase iniziale si adagiava, infatti, quasi nel fornire un elenco di ciò che sarebbe stato difficile o di ciò che NON sarebbe potuto essere. D’altra parte chiunque di noi, ancora oggi, in rete più facilmente trova un elenco dei problemi e rischi che la sindrome di Down comporta, più che virtuose testimonianze di potenziale di sviluppo o generosi ragionamenti su come essere “differenziale di sviluppo” per un bambino con la trisomia 21 (o altre condizioni che comportino una disabilità -anche- cognitiva.

E troppo spesso questi esperti ci hanno persino dato l’idea di voler sottolineare le mancanze del bambino quasi a voler far intendere che la loro figura e il loro lavoro sarebbe stato fondamentale, necessario, imprescindibile, e che cioè la loro presenza e intervento più necessario del nostro, più importante della nostra consapevolezza.

Quanti di questi esperti sono disponibili a coinvolgere attivamente i genitori durante le ore di riabilitazione e/o terapia? E quanti, invece, preferiscono che il genitore non assista?

Quanti di questi esperti vogliono sostenere i genitori (quelli disponibili), in modo concreto, a (imparare come) essere di aiuto allo sviluppo globale del proprio bambino?

Quanti di questi esperti non temono la presenza, il pensiero personale, il punto di vista del genitore e lo ritengono, invece, fondamentale per conoscere il bambino?

Io e mio marito, ancora prima di comprendere che “l’intelligenza si allena” e che non essa non è una entità predeterminata alla nascita, abbiamo ritenuto assolutamente fondamentale offrire al nostro Bambino occasioni di stimolazione precoce.

E devo dire che questi miei anni di studio e di formazione professionale mi hanno dato modo di capire che è proprio così: stimolare precocemente e bene, intelligentemente bene, è molto importante; e il RUOLO DEI GENITORI è REALMENTE FONDAMENTALE.

L’educazione dà forma al cervello

Oliverio, “Il cervello che mente”

La mia natura, positiva e tenace, si è ribellata. Il rispetto per la creatura che mi è stata affidata ha vinto.

Non mi ritrovavo nella prospettiva che mi veniva proposta, che suonava una musica tipo: siccome generalmente i bambini con la trisomia 21 fanno più fatica di un coetaneo a raggiungere certi traguardi in tempi standardizzati ed essendo dunque difficile (impossibile!) il raggiungimento di certe autonomie nei tempi indicati come “canonici”, allora i genitori dovreste vivere serenamente una esperienza di intima rassegnazione.

Attenzione!!!

Accettare quel cromosoma in più e che il figlio abbia un cromosoma in più NON significa rassegnarsi a questa condizione che comporta fatica nell’apprendere. ACCETTARE IL CROMOSOMA, o qualsiasi altra condizione di disabilità, e RASSEGNARSI AL CROMOSOMA sono due atteggiamenti completamente diversi.

Che, certo, possono convivere nell’animo di un genitore, ma anche no: può maturare un atteggiamento tale per cui, pur accettando con consapevolezza la creatura e la sua condizione di Vita, io genitore desideri essere di aiuto concretamente al Bambino per crescere nel modo migliore a lui possibile e nel rispetto delle sue POTENZIALITA’. Guardo alle potenzialità (che pochi sanno osservare e stimolare) più che alle fragilità e fatiche, di cui pure tengo conto.

Io non potevo restare a guardare. Noi ci opponiamo a un sistema di questo genere.

Dunque è sbocciata in me, pian piano, lentamente e attraverso anche un percorso di formazione professionale (che mai finirà), una consapevolezza rispetto alle dinamiche dell’apprendere e un senso di responsabilità genitoriale tale da permettermi oggi di superare la mia “capanna” e di regalare la mia esperienza affinché tutti insieme, genitore dopo genitore, docente dopo docente, si possano modificare i paradigmi dell’apprendere e costruire inclusione vera.

Ho compreso ad un certo punto che a furia di continuare a sentire certe informazioni, avrei finito per ascoltare, crederle fondate scientificamente e vivere secondo questa prospettiva.

E a furia di continuare a credere che lui non avrebbe potuto fare una cosa, raggiungerne un’altra e viverne ancora un’altra, davvero lui non avrebbe conquistato nulla di tutto quello che oggi gli appartiene: autonomie, abilità e competenze.

Certo non è tutto facile e ci sono degli ambiti in cui fatica: è reale la presenza del cromosoma ma, come disse il dottor Feuerstein “i cromosomi non avranno l’ultima parola”!

Ho compreso, abbiamo compreso, che bisognava staccarsi da questi pregiudizi e fidarsi realmente del nostro bambino, dandogli ogni possibilità, tutte quelle che noi riteniamo migliori per lui e che lui mostra essere una chiave di successo.

E allora mi è venuto spontaneo fare così: leggere tantissimo, imparare e capire cose di cui non sapevo pur essendo un’insegnante, formarmi, informarmi anche tramite social, e… ricominciare a studiare e approfondire ciò che mi sta a cuore attraverso anche percorsi di maste.

Uno dei risultati concretamente raggiunti nei primi mesi di vita del mio Bambino grazie a questa prospettiva?

Samuele a 18 mesi non usava più il pannolino di giorno, e quindi al nido andava senza pannolino (maestre incredule e stupite).

C’è da chiedersi, inoltre: quale l’impatto che un tale traguardo concreto (es. a 18 mesi senza pannolino) ha sul bambino, sulla famiglia e sugli esperti e insegnanti che del bambino si prendono cura?

A sentire certi esperti -la maggior parte- questo risultava incredibile. Impossibile. Ed effettivamente anche molti bambini senza trisomia 21 eliminano il pannolino ben dopo i 18 mesi.

Se io non avessi creduto nelle sue possibilità, se io mi fossi rassegnata a quel che di quel cromosoma in più vanno raccontando oggi (ancora oggi!!!!!), lui non avrebbe potuto sperimentare e capire di essere pronto: e, alla lunga, non avrebbe neppure sviluppato quel gran senso di autoefficacia del sé che lo porta a credere che una soluzione può sempre trovarla.

Quello che sostengo fermamente è che per noi è diventato fondamentale e assai più fruttuoso lasciarci guidare dai nostri bambini, esporli a diversi stimoli e situazioni tramite cui loro sperimentano il principio della “sfida ottimale”, tenendo pur in considerazione, in un’ottica di reciproco arricchimento, i suggerimenti e le conoscenze che hanno da offrire insegnanti, educatori, e specialisti vari.

Per vivere in una dinamica di fiducia, aderente alla realtà, nei confronti dei nostri figli, abbiamo perciò dovuto superare quella mentalità che ci portava a dare troppo peso a ciò che si racconta di questa specifica trisomia, assegnando troppa importanza alla diagnosi e alle valutazioni. Certo hanno una loro valenza le diagnosi e i vari approcci di quantità, di misurazione di quantità, psicometrici. Ma non dicono molto della PERSONA, dell’inviduo. Dietro una diagnosi che può essere la stessa per molte persone (es. sindrome di Down) ci sono INDIVIDUI, unici e irripetibili, inseriti in uno specifico ambiente che ne determinerà lo sviluppo in un modo specifico.

Impariamo a osservare la realtà dei nostri figli e studenti, le loro caratteristiche e le loro potenzialità: sforziamoci di non “incatenare” i bambini a vari tipi di “etichette” ancora oggi, purtroppo, legate al mondo dell’infanzia. Etichette che troppo spesso riguardano non solo condizioni genetiche ma anche i comportamenti, il sentire, l’agire dei bambini….

E’ vero, ci dicono gli scienziati, esistono delle finestre temporali di maturazione tipiche della nostra specie e che l’osservare come si manifesta lo sviluppo proprio di quel bambino-individuo può permettere di prevenire situazioni di disagio o di potenziarne la stessa crescita.

Io sostengo però che questo non dovrebbe equivalere all’adozione di una prospettiva omologante, non significa cioè che chi ha dei ritmi di sviluppo diversi, magari più lenti, allora non potrà mai divenire… o che debba divenire in tempi comunque immaginati da altri.

In noi c’è, invece, la consapevolezza che è possibile accompagnare – sostenere- potenziare attraverso interventi precoci e determinati con intelligenza, attraverso l’iterazione quotidiana, restando saldamente ancorati al bambino, che, come Aristotele insegna, un domani, nel suo essere pianta, sarà ciò che oggi è già in potenza, nel suo essere seme.

Lasciati guidare dal tuo Bambino, e non dalle diagnosi e etichette socio-culturali che su di lui gravano: solo così potrai accompagnarlo nel migliore dei modi possibili.

Fidiamoci dei nostri bambini: è meglio!

Expert Teacher, caregiver, sibling
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

Formazione attualmente in programma o disponibile

1 commento su “Fidarsi è bene. Fidarsi dei bambini è meglio!”

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