Esperienze di sibling e riflessioni sulla genitorialità
In questi giorni (agosto 2020) siamo in vacanza, al mare.
L’augurio più significativo che abbiamo ricevuto prima di partire è stato quello fatto da una cara Amica: “divertitevi, ma, soprattutto, state insieme”. Sembra scontato, ma non lo è per nulla, soprattutto quando hai iniziato a prenderti cura di un blog…
Insieme; connessi, con noi stessi prima di tutto, col proprio partner e con i propri figli e poi, certo, anche con questo mondo: non è sempre semplice, ma in realtà è prezioso e necessario.
Ho accolto questo augurio e ho così iniziato a pensare (lo faccio in continuazione!), ricordandomi che ci sono state delle volte in cui, proprio per avvertire una sensazione di vero riposo, avrei voluto essere solo su un’isola deserta, lontano cioè da ogni sguardo curioso e indiscreto, lontano da qualsiasi giudizio e pregiudizio, soprattutto verso la trisomia 21 del mio primo Bambino. Perché per me essere in luoghi frequentati significa anche essere esposta in tutta la nostra realtà: ovunque si vada, la bellezza di Samuele attira gli sguardi altrui. Ci sono diversi tipi di sguardi: ci sono persone che rimangono intenerite da questo piccolo bambino, delicato e forte allo stesso tempo; altri che lo guardano stupiti per l’autonomia di cui è capace. Ci sono sguardi che valorizzano e altri no. Ci sono sguardi che creano dialogo, che parlano di un sincero interesse e che mostrano empatia. Altri no. E poi ci sono quei modi di guardare, di cui un genitore si accorge, che si focalizzano sull’etichetta con cui si chiama la condizione (genetica) del Bambino.
Uno degli episodi vissuti in questi giorni di vacanza sarda (estate 2020) è quello che riguarda proprio un bagnino della struttura che ci ha ospitati: un pomeriggio questa persona si avvicina a me e a Ale per spiegarci una cosa, ma, intercettati i nostri figli, il suo sguardo resta fisso e bloccato su Samuele. Sì, le parole continuavano anche a fluire, ma quasi in modo automatizzato e sempre più lento… Poi il tono della sua voce si modifica, gli escono parole del tipo: “che beeellooooo” (e Samuele lo è davvero, certo!) ma il tono con cui vengono pronunciate restituisce più un “gusto” amaro. Fino a quando, dimenticandosi completamente di mascherine, distanziamento sociale e, soprattutto, non conoscendo me, sua madre, comincia ad accarezzargli il viso. Questo di doverlo accarezzare in testa o in viso è un comportamento che ho visto fare fin troppe volte a molte persone. E mai gradito né da noi genitori né dal Bambino. Ed è un comportamento riservato a Samuele, non anche a Gabriele.
Anni fa sarei rimasta infastidita e imbarazzata a guardare, pregando che il tutto finisse presto. Ormai non più. Sono intervenuta, semplicemente spostando la mano del bagnino. Il bagnino, pensando al Covid si è quasi scusato; noi, invece, abbiamo domandato se si fosse prima chiesto se al bambino avrebbe fatto piacere ricevere una carezza da un estraneo e per di più in quelle modalità.
Eh sì, questo è un aspetto a cui tengo sempre moltissimo: i bambini non sono dei bambolotti. I bambini con la trisomia 21, o con altre forme di fatiche cognitive, non sono a nostra disposizione. Dobbiamo comprendere che anche i bambini che si esprimono meno verbalmente hanno pensieri, preferenze, timori e una personale linea di confine della propria privacy.
Non è detto infatti che il silenzio o pazienza di un bambino, tanto più se fatica a comunicare verbalmente, equivalga a approvazione e piacere (puoi approfondire questo argomento così: articolo sul Baby Signs e sulla possibilità che hanno i bambini di poter dire di no).
Le emozioni e i sentimenti sono sicuramente qualcosa di personale e ognuno ha la propria storia con cui misurarsi in ogni incontro: noi e gli altri che incontriamo.
Per me l’Amore ha una valenza molto concreta, reale, quasi tattile e visibile: l’Amore si fa.
Una carezza è certo un gesto di tenerezza. La tenerezza è una dei sentimenti più belli e importanti che esistano, secondo noi. Deve avere anche essa però una importante valenza e una manifestazione concreta, significativa. Non basta dire o agire nella direzione del “oh poverino”, non bastano carezze, parole e pensieri e preghiere. Ma soprattutto nel manifestare la mia tenerezza verso un’altra persona devono assicurarmi di farlo in modo da non risultarle invadente.
Scriverò un articolo sul come potersi relazionare a un bambino con la sindrome di Down quando lo si incontra per la prima volta, mi pare importante: tu cosa ne pensi? Intanto però ci soffermiamo su questo aspetto: avere la trisomia 21 è faticoso per la persona che vive questa condizione e comporta fatiche, ma questo non cambia, e non migliora, attraverso il “pietismo” e il “buonismo”. I bambini con sindrome di Down, esattamente come i bambini senza sindrome di Down, richiedono concretezza e autenticità: così possono imparare a farcela.
Altro che poverino! Altro che poverini! Stiamo sviluppando tenacia e resilienza oltre ogni nostra aspettativa. Stiamo vivendo la nostra Famiglia come luogo di sostegno e di forza reciproca: siamo tutti e quattro nella stessa squadra e nessuno resta indietro.
Noi e il nostro bambino impariamo ogni cosa che ci sembra importante, e lo facciamo dovendoci confrontare con quel “pentolino” in più (lo chiamano cromosoma) ogni santo giorno, “facendoci un mazzo” più di chiunque altro senza quel pentolino. Non c’è da dire o pensare: “poverini!”. Non è la sindrome di Down la condizione che determina la qualità e/o il valore della nostra Vita.
Il punto è questo: stiamo sperimentando, anche in circostanze molto diverse, che proprio l’Amore che nutriamo verso i nostri figli, nella sua assoluta concretezza, ci spinge a superare noi stessi, in modo reale e realistico. Volere il Bene di un Figlio non è questione solo di emozioni e di sentimenti, chiama il genitore all’azione. Quando un figlio vive una condizione che ne determina realmente una fatica, anche cognitiva, non basta sperare, attendere che altri risolvano la faccenda o aspettare che il tempo sistemi le cose: bisogna intervenire precocemente e comprendere come farlo (ne parlo qua: Sindrome da Apprendimento sostiene i Genitori).
E’ molto importante che i genitori comprendiamo che, soprattutto nel momento in cui un bambino vive delle fatiche, di qualsiasi genere e qualunque sia la “causa” delle fatiche, è proprio in virtù dell’Amore che si nutre verso il figlio che diventa possibile concretamente rispondere ai suoi bisogni: possiamo farlo in prima persona o attivando altre risorse. Quel che è certo è che l’Amore di un genitore per il proprio figlio chiede concretezza, chiede di farsi – di divenire carne, vita quotidiana- e questo può accadere attraverso situazioni di Vita piacevoli e facili da vivere (esploriamo insieme il mondo, impariamo a andare in bici, giochiamo insieme, andiamo a una festa, ecc ), ma anche anche agendo a supporto concreto ed efficace proprio dell’elemento attraverso cui si manifesta la fragilità.
Proprio la concretezza dell’Amore che nutriamo verso i nostri figli ci spinge non solo a desiderare che i Bambini incontrino uomini e donne, maestri, professionisti, allenatori, terapisti e famigliari capaci di restituire loro dignità ma ci spinge anche a prepararli concretamente per crescere come bambini autonomi, liberi, capaci di un proprio pensiero e di scelta, uomini di domani.
Così, ritornando alla nostra vacanza, allora non sarebbe stato, ad esempio, più opportuno che il bagnino incontrato per caso avesse riservato a Samuele la stessa domanda che più facilmente riceve suo fratello: “Ciao, come ti chiami?” piuttosto che chiedere a me, la mamma, il suo nome, dando quindi per scontato che Samuele non sia in grado di comprendere e di cavarsela da solo?
Nessuno di noi desidera un cromosoma in più per il proprio figlio, né disturbi specifici dell’apprendimento, né diagnosi di celiachia, patologie varie o qualsiasi altro “problema”.
Passare “in mezzo” a una situazione non desiderata e/o che comporta realmente fatica può essere molto faticoso e impegnativo.
E lo è realmente, anche per noi. Spesso però, dopo aver trovato gli strumenti opportuni per affrontare la “tempesta”, ad esempio cure mediche, diete adatte, sollecitazioni cognitive adeguate, si respira a pieni polmoni e si diventa più coraggiosi e intrepidi, ritrovando casa (sto citando in modo personale M. Rosen – H. Oxenburt, A caccia dell’orso, altro libro che non può mancare nella libreria di un bimbo: qua).
E allora, mio caro bambino, come canta Pelù, tu sei il benvenuto al mondo.
Ed è il benvenuto anche tuo fratello, Gabriele, che con tutto il suo essere, fin dal tempo della gravidanza, ha portato con sé forza ed equilibrio in ciascuno di noi.
Benvenuto Gabriele: tu permetti la preziosa esperienza della spensieratezza, di cui un genitore può godere quando ogni tappa è una conquista naturalmente facile; tu, Gabriele, ci ricordi che la concretezza del nostro Amore per te passa anche dal renderci conto che quella carezza deve essere anche per te; che la resilienza e il coraggio sono due virtù che possono fare la differenza e che amarvi significa anche insegnare a entrambi concretamente il rispetto uno per l’altro.