Secondo articolo della Rubrica “Apprendere dai Bambini” |
“C’è una crepa in ogni cosa,
e da lì entra la luce“
(L. Cohen)
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Annamaria Guarnera– psicologa, psicoterapeuta, mamma.
Rachele Nicolucci– insegnante di lettere SS1G, mediatrice Feuerstein, mamma
Cari amici di Sindrome da apprendimento,
eccoci al nostro secondo appuntamento: il termine che oggi ci aiuterà a mettere a fuoco un altro aspetto della complessa e profonda esperienza di frequentare i bambini è “disorientarsi”.
Una parola che evoca delle sensazioni di difficoltà che possiamo sperimentare anche con i nostri figli di fronte a situazioni del tutto inaspettate; per quanto si possa studiare, leggere e prepararsi, molte volte ci troviamo disorientati rispetto a quanto non è come avevamo immaginato. Le nostre idee, desideri e aspettative si scontrano con la realtà che spesso è ben diversa; e allora cosa fare?
Quando è nata la nostra bambina, molto presto mi sono sentita disorientata, confusa e riconosco di essermi aggrappata alla mia esperienza di psicoterapeuta e, in particolare, mi ritornavano alla mente tutte quelle volte che nel lavoro con i pazienti in terapia -individuale o di gruppo- capitavano delle impasse in cui sembrava che il lavoro non stesse procedendo adeguatamente, dove tutto sembrava inutile e vano.

In quei momenti mi è sempre stato di grande conforto il concetto di “fattore F” (fede) di cui parla Bion (1970- 1992), psicanalista di gruppo su cui si basa gran parte della mia formazione, ma nella versione approfondita e ampliata di Claudio Neri (2011).
Il fattore fede non ha a che fare in maniera diretta con la religione, ma accompagna il concetto di fiducia, descrivendo una particolare funzione psicologica dello psicoterapeuta che, anche nei momenti di maggiore difficoltà del lavoro con il paziente, può riuscire a mantenere la fiducia e la speranza che si verrà a capo della situazione difficile e, delle volte, questo richiede un vero e proprio atto di fede, cioè il saper andare oltre a quello che è la situazione nel momento attuale e intravedere i possibili sviluppi futuri.
Così con i bambini possiamo provare a sostare, inteso anche come “so-stare”, quando le cose si presentano difficili o incompressibili, avendo nella mente la consapevolezza che per quanto complesso e faticoso si otterrà un nuovo equilibrio che magari non è quello da noi previsto o immaginato, ma è quello che sarà costruito in maniera creativa sugli elementi della nostra realtà. Coltivando la speranza che questo nostro modo di fronteggiare le difficoltà possa essere poi interiorizzato anche da loro.
Annamaria Guarnera

Nella Vita sono diverse le occasioni in cui possiamo autenticamente sperimentare la sensazione di disorientamento: quelle in cui ti sembra che nessuno dei tuoi sforzi sia stato sufficientemente ripagato, o quelle in cui vorresti “gettare la spugna” tale è lo sconforto e la paura che la situazione sta generando in te.
A livello personale, ci sono state due o tre situazioni in cui io mi sono sentita veramente smarrita, senza sapere da che parte orientarmi. Almeno nei primi momenti.

Tra le più faticose e intense occasioni di disorientamento sicuramente c’è il 3 dicembre di qualche anno fa, giorno in cui, a 25 anni, mi è stata riferita la diagnosi di “Linfoma di Hodgkin”;
oppure il lungo periodo in cui abbiamo elaborato il dolore, profondo e amaramente inebriante, per la perdita di un fratello giovanissimo, ormai logorato da una malattia; ma anche il 24 dicembre di 6 anni fa, in cui ho scoperto che un altro cromosoma “spaiato” avrebbe accompagnato la mia Vita, e questa volta io nel ruolo di madre: un giorno decisamente impregnato da quella terribile sensazione di cadere, di aver perso l’equilibrio e minima sicurezza proprio quando il mondo stava per celebrare il Santo Natale…
Oggi però non è di questo che voglio occuparmi: desidero raccontarvi di un pezzettino del mio essere insegnante, di quella prima volta in cui mi sono sentita disorientata a scuola.
Così la mia mente recupera il ricordo del volto di tutti quegli alunni che mi hanno regalato occasioni per perdere le mie sicurezze: ci sono state, per esempio, delle volte in cui la mia mente ha pensato delle cose su di loro, ha programmato attività o progettato percorsi che sembravano meravigliosi… scontrandosi poi con una realtà ben diversa da quello che avevo idealmente immaginato, più vera e profondamente più significativa.
Chi ha la fortuna di frequentare e vivere con bambini, preadolescenti e adolescenti, che siano i propri figli o i figli di altri, sa che sono molteplici le volte in cui queste creature in-segnano nella nostra Vita qualcosa di importante.
A volte in-segnano qualcosa che, crescendo, avevamo solo dimenticato: loro rimettono quel qualcosa semplicemente dentro di noi, dentro anche i propri insegnanti, se glielo lasciamo fare.
Altre volte le creature che ci vengono affidate in-segnano, invece, qualcosa di nuovo: segnano cioè davvero il percorso di vita dei propri docenti, potendone migliorare la traiettoria di formazione, gettando nuovi semi di consapevolezza e opportunità di crescita.

Il mio ricordo oggi va specialmente a N., allora tredicenne, uno dei primi alunni che mi ha permesso di capire che c’era una crepa nel mio modo di intendere le lezioni e che ne sapevo troppo poco di apprendimento: a lui non interessavano le mie lezioni. Qualcosa forse non funzionava nel mio modo di intendere la scuola e l’insegnamento. E allora ho iniziato a chiedermi: “come è possibile che N. costruisca marchingegni elettrici fenomenali sotto il banco e che i suoi occhi brillino in quel modo solo in quei momenti?”.
Sono sicuramente delle più svariate le occasioni e motivazioni per cui un docente, di qualsiasi grado scolastico, può percepire la sensazione di dis-orientamento rispetto a un singolo ragazzo, rispetto ad una storia personale, ad alcune fatiche emotive-relazionali-cognitive vissute dall’alunno, o diversi i contesti per cui un insegnante può non sapere come orientarsi rispetto una classe intera per rendere, quel gruppo classe, luogo di Apprendimento per tutti e ognuno.
In quella mia esperienza con N. ciò che si è rivelato vincente è stato il fare rete con gli adulti-riferimento della sua Vita: la sua famiglia e gli specialisti che lo sostenevano in questa nuova avventura di convivenza con i disturbi specifici dell’apprendimento di cui stava prendendo consapevolezza.
A scuola, come in tanti altri ambiti, vale la pena pre-occuparsi, nel senso di cui dicevamo nel precedente articolo, di ciò che conta davvero, e in questo senso era diventato allora prioritario per me rendere N. veramente protagonista attivo e consapevole della sua vita scolastica.
Sarebbe stato sicuramente meno impegnativo, dal mio punto di vista, ignorare la questione e andare avanti per la mia strada o negare a me stessa la sensazione, scomoda, di fatica che vivevo nel non riuscire a suscitare interesse in N. durante le ore insieme.
Aver, invece, accolto questa situazione, aver creduto che un modo per farcela ci sarebbe stato, e che avrei potuto trovare una direzione di soluzione insieme ad altri adulti più vicini a lui, accogliendo le reazioni di N. e partendo proprio dal suo non-detto, espresso durante le lezioni, mi ha permesso di non perdere un alunno e, soprattutto, di contribuire al suo sentirsi una persona competente e in grado di farcela!
Ma sapete, cari lettori di Sindrome da Apprendimento, quella esperienza con N. mi ha insegnato anche un’altra faccenda interessante: l’aver ammesso di non saper come fare con lui, l’aver ammesso che nonostante la mia formazione e informazione quel ragazzino fosse in grado di farmi perdere ogni certezza, mi ha permesso di crescere professionalmente e di avvicinarmi ad altre possibilità di approccio e di intervento che fino a quel momento ignoravo. Metodologie e prospettive che sono da subito risultate più adeguate e opportune per entrare in contatto con N. e per formulare delle proposte didattiche realmente significative per lui.
E’ difficile per un insegnante accettare di sentirsi disorientato, ammettere che la direzione intrapresa potrebbe non essere quella giusta, ammettere di essere confuso, di non avere la risposta, di non sapere come e cosa fare per aiutare un alunno a farcela o come entrare in dialogo con una classe.
E, purtroppo, non tutte le risposte si possono trovare nei manuali che tanto vanno di moda o nei corsi di formazione o tra i banchi universitari.
Incontrate le figure di riferimento di N., a me poi il compito di ideare un percorso di apprendimento per lui, creativo e adeguato alla sua persona: certo, ho ricercato idee qua e là e richiesto confronti a colleghi esperti, ma era sempre e solo N. a restituirmi una valutazione sincera circa il mio lavoro per lui. Quindi se la proposta di apprendimento che io avevo pensato per lui funzionava davvero, poteva dirmelo solo N.!
Io credo che ogni volta che incrociamo sul nostro cammino un bimbo o un ragazzo che non ce la fa oppure uno di quelli che “urtano” il nostro essere, ogni volta insomma che si crea una “crepa” nella nostra sicurezza di docenti, dovremmo riconoscere la bontà della Vita che, proprio tramite quella fatica, ci sta offrendo l’occasione di crescere professionalmente, di non ancorarci e insabbiarci lì dove ci troviamo, dandoci l’opportunità di imparare ancora, e ancora, di apprendere di più sul funzionamento della mente, di sfoggiare creatività e tenacia alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Vivere il disorientamento con serenità è una sfida a cui gli insegnanti siamo chiamati, soprattutto in questo tempo così difficile in cui sicuramente anche i nostri ragazzi sono messi alla prova e costretti a delle modalità di apprendimento non ideali. Certamente ci si reinventa ogni anno, per ogni classe, per ogni alunno, che di mese in mese cresce, divenendo altro da ciò che noi pensavamo di aver già conosciuto. Quest’anno ci si reinventa di più, utilizzando la propria mente e allargando il cuore.
L’unica certezza a cui un insegnante può aggrapparsi è che una soluzione c’è sempre, che un modo per farcela deve pur esserci e che tutti possiamo apprendere a essere più intelligenti: in questo senso, sicuramente, per me, in qualità di mamma e in qualità di insegnante, la formazione sul metodo Feuerstein sta facendo la differenza!

La nostra mente è meravigliosa, impariamo a saperne di più e a fidarci della nostra capacità di crescita professionale e personale beneficio delle creature che la Vita ci dà in custodia, per un tempo lungo o meno.
A te, caro collega che mi stai leggendo,
GRAZIE!
Seguire “Sindrome da Apprendimento” sicuramente racconta della tua voglia di ricercare soluzioni altre e del tuo interesse al confronto con storie e opportunità.
A te, caro lettore di “Sindrome da Apprendimento”, grazie di questo tuo tempo che ci dedichi, soprattutto in questo difficile momento sociale in cui diviene tanto più importante rimanere in contatto, non isolarsi, allenare la mente a nuove opportunità e custodire ciò che davvero conta di più nella propria Vita.

Rachele Nicolucci
Autrice, fondatrice e coordinatrice di “Sindrome da Apprendimento”
Expert Teacher in organizzazione scolastica – Mi occupo di processi cognitivi dell’apprendere e metacognizione, con un approccio neuropedagogico e della pedagogia della mediazione Feuerstein.
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