Apprendimento: 3 elementi di successo.

A Luca.
A mio fratello Luca.

Oggi sarebbero stati 32 anni, Luca!
Ma te lo immagini? Zio di 5 bambini: saresti stato il loro preferito, non ho dubbi.

A te fratello, questo articolo lo dedico a te, che hai sicuramente lasciato un segno nel mio percorso di Vita: avrei voluto fare di più per te. E allora sai cosa facciamo? Oggi raccontiamo ad altri come si può essere studenti di successo, anche quando di mezzo c’è la trisomia 21.

Attenzioni di cura per studenti di successo

Cosa significa apprendere?

Qualche tempo fa l’ho chiesto a voi! Vi ho chiesto cosa sia l‘apprendere, secondo voi.

E queste sono alcune delle risposte che ho ricevuto: quanta ricchezza!

Processo di crescita.

Conoscenza completa delle funzioni motorie, verbali, ideali e sensoriali.

È un processo che attraverso l’esposizione dell’individuo a molteplici stimoli cognitivi, emotivi, sociali, motori, creativi, favorisce lo sviluppo armonico della personalità.

Conoscere, scoprire, essere curiosi.

Un percorso in fieri che accompagna la persona nella comprensione del mondo in tutte le sue sfaccettature.

Opportunità di aprire la propria finestra ed affacciarsi in un mondo scoprendo di far parte di quell’essenza.

Desiderio di conoscenza.

Modo di acquisire competenze e conoscenze attraverso l’ integrazione con l’ambiente.

Libertà.

Crescita.

Esperienza.

Aprire la mente alle cose.

Apprendimento deve essere significativo, deve permettere all’alunno di risolvere problemi nella realtà quotidiana. È importante partire dalle preconoscenze del bambino. Inoltre, non vi è apprendimento senza motivazione!

Assimilare e accomodare.

L’apprendimento poggia su una adeguata manipolazione della motivazione.

Risolvere i problemi.

Imparare a comunicare.

Esperienza che non si vive mai da soli.

L’apprendimento per essere tale nel bambino, deve renderlo protagonista.

Immagazzinare, rendere mia una cosa estranea da me, assorbire l’informazione per usarla nel modo e nel contesto giusto.

È un processo che provoca un cambiamento in chi apprende, può essere consapevole o inconsapevole, dipende dall’esperienza, dall’ambiente, dall’interazione ancora da molti altri fattori.

Apprendere vuol dire giungere alla conoscenza, in base al proprio stile cognitivo e in base alle proprie capacità fisiche, superando barriere architettoniche e opinioni preconcetti al fine di orientarsi nell’ambiente esterno In modo vantaggioso ed efficace costruendo così oltre un sapere significattivo anche solidi rapporti interpersonali.

Per anni abbiamo ritenuto apprendimento sinonimo di risultato e così, come in una naturale consequenzialità di elementi, ciò a cui abbiamo dato più valore è stato, per lo più, l’atteso prodotto dell’apprendere. Scorrendo anche le vostre risposte direi che, finalmente (che gioia!), iniziamo ad allontanarci da quella, ben radicata, visione orientandoci sempre più frequentemente verso qualcosa di più vicino alla realtà dell’esperienza che è l’apprendimento.

𝑁𝑜𝑛 ℎ𝑜 𝑚𝑎𝑖 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑎𝑖 𝑚𝑖𝑒𝑖 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖; ℎ𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑙𝑖 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑟𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑟𝑒.

Einstein

3 elementi importanti

Si tratta di una tematica molto complessa, delicata e, dal mio punto di vista, davvero molto stimolante, di cui personalmmere voglio sapere ancora di più: sto infatti per concludere l’attuale master Expert Teacher, e ho già individuato il mio prossimo percorso di formazione per andare sempre più a fondo delle questioni legate all’apprendere.

Con questo articolo voglio aiutarti a mettere a fuoco ben 3 elementi che reputo davvero preziosi, anche quando di mezzo ci sono le fatiche dell’apprendere.

L’APPRENDIMENTO E’ UN PROCESSO

Tutti, tutti al di là delle proprie condizioni genetiche e a qualsiasi età, possiamo apprendere: l’apprendimento è un processo, che si avvia dal momento in cui esistiamo. Qualcuno lo definisce anche come ogni modificazione relativamente permanente del comportamento per effetto dell’esperienza. Tutti, e dico proprio tutti, possiamo accedere alle dinamiche dell’apprendere, se messi nelle giuste condizioni: ciò di cui dovremmo pre-occuparci maggiormente è creare le opportune condizioni (parlo di questo in molti precedenti articoli), quelle più favorevoli al bambino, e individuare suoi punti di forza e di necessità.

SUGGERIMENTO DEL PRIMO ELEMENTO DI SUCCESSO:

per essere certi che il nostro bambino apprenda realmente un contenuto o un’attività cognitiva, è importante metterlo nelle condizioni di una ”modificazione relativamente permanente del comportamento” per effetto delle esperienze di apprendimento proposte. Non basta essere esposto a un nuovo contenuto/abilità cognitiva una volta, poche volte, tante volte, per sviluppare reale competenza: è importante farne esperienza tale per cui si sviluppi autonomia cognitiva rispetto quanto sto apprendendo.
Perciò le esperienze di apprendimento relative a uno stesso compito devono essere variate: propongo al mio bambino microvariazioni del compito per generalizzare gli apprendimenti, sviluppando una competenza concreta, utile, spendibile e indipendenza cognitiva.

ESEMPIO: Samuele impara a leggere parole bisillabe. Cosa fare? Mi accerto, in modo graduale e progressivo, che il mio bambino in altri contesti e situazioni, con altre persone diverse da me e usando altri materiali rispetto a quelli con cui ha imparato, sia in grado di svolgere il compito dato: leggere parole bisillabe.
Realizzo dunque microvariazioni del compito e del setting, che reputo fasi del suo (mio, nostro) processo di apprendimento: diversifico la mia proposta in modo molto graduale e per singoli elementi, mantenendo sempre costanti le condizioni attraverso cui il bambino sperimenti successo.
Dunque mi preoccupo di variare, progressivamente, a partire da ciò che meno è faticoso, i materiali usati, i contenuti proposti (cambio parole), le persone coinvolte, gli ambienti e i contesti in cui esercitare la lettura.

L’APPRENDIMENTO E’ UN PERCORSO PERSONALE

Vado dritta al fulcro del mio pensiero di oggi: dato che l’apprendere è un processo personale, proprio di ogni persona, un percorso individuale ma allo stesso tempo dinamico e di relazione, dovremmo smetterla di pensare che possano esistere protocolli di apprendimento validi sempre e per tutti. Personalizzare le proposte di apprendimento è possibile, sebbene sia certamente difficile quando il contesto di riferimento prevede un gruppo numeroso di persone. Ricordiamoci che l’apprendimento è un processo che supera i limiti propri della didattica trasmissiva: apprendere non è il risultato dell’insegnare.

Uno degli elementi più preziosi di cui disponiamo e di cui tenere conto quando si parla di sviluppo è il tempo: anche il tempo dell’apprendere andrebbe rispettato e accettato con consapevole serenità. Esistono sì delle finestre temporali che rappresentano l’evoluzione filogenetica di specie: ma ricordiamoci che ciascun individuo ha il diritto e dovere di interpretarle, incarnarle, contribuirvi a modo proprio e che non sempre l’apprendere in tempi diversi da quelli assunti in media dalla popolazione è evidenza di neurodiversità, di difficoltà, disabilità, patologia, plus dotazioni.

Piuttosto proviamo per un attimo a assumere un punto di vista differente: non ti pare che l’omologazione dei tempi di apprendimento corrisponda alla possibilità che qualcuno, all’interno di un gruppo, non maturi competenze reali (vedi punto precedente)? Stabilire a priori tempi determinati e limitati entro cui affrontare un argomento, entro cui fare esperienza di contenuto e/o funzioni di pensiero, senza margini di flessibilità, equivale a definire a priori che qualcuno resterà fuori, perché ciascuno ha i propri tempi e necessità e non posso pensare di poter prevedere (pianificare, programmare) con anticipo e in via ipotetica ogni fase del processo di apprendimento del mio bambino/gruppo, addirittura prevedendo le necessità e criticità che emergeranno durante questo viaggio (processo dell’apprendere).

Evitiamo di rimanere prigionieri del nostro stesso programmare! Seguire il programma spesso equivale a sviluppare un approccio quantitativo, fatto di quantità (di più è meglio che di meno) e di velocità (prima è meglio che dopo).

C’è una cornice culturale, dentro cui ci troviamo immersi e coinvolti tutti, che ci spinge a educare i nostri figli e alunni secondo il culto della velocità, che nelle nostre quotidianità si traduce in frenesia, disattenzione, fretta, tristezza, nostalgia, ingozzamento di cibo e informazioni, confusione… stanchezza.

E nella nostra quotidianità di genitori come si traduce tutto questo? A volte, senza nemmeno rendercene conto, ci troviamo a utilizzare alcune espressioni linguistiche che esprimono un pensiero largamente diffuso: più veloce è meglio che lento; la quantità di risultati è da preferire alla qualità del processo necessario per realizzarli quei risultati; far presto è sinonimo di sicurezza e capacità. Anche a me capita, soprattutto quando più stanca o se con poco tempo a disposizione, di usare in modo del tutto spontaneo frasi del tipo: dai, veloce! Ma uffa quanto ci mettete??! Ancora? Bambini, su veloci! Muoviti!

Questo atteggiamento non aiuta i bambini a ri-organizzarsi per portare a termine il compito sospeso. Molte volte, infatti, i piccoli possono sentirsi sopraffatti da questa nostra re-azione, percependosi come non adeguati rispetto al compito e non capaci di soddisfare le nostre aspettative. Per questo ho iniziato ad attenzionare il mio modo di rivolgermi ai Bambini: le parole che pronunciamo sono importanti.

SUGGERIMENTO DEL SECONDO ELEMENTO DI SUCCESSO:

quando ti rendi conto di aver avuto questo tipo di atteggiamento , che in realtà riflette solo il tuo disagio per il trascorrere del tempo in modo, secondo te, non funzionale o disagio per non percepirne controllo, respira. Respira, pensa, calmati e fai qualcosa tramite cui recuperare un sincero sorriso. Poi avvicinati al tuo bambino, scusati e chiedigli cosa sta pensando, cosa deve fare e come puoi essergli di aiuto per farcela con successo, senza fare al posto suo. Accetta serenamente la sua necessità di quel tempo. Gli errori che più comunemente facciamo noi genitori sono: abbandonare (ok, fai da solo allora) o sostituirsi (dai, faccio io così..).

Esserci in modo consapevole e lasciando al bambino la libertà di esprimere la propria indipendenza cognitiva e emotiva è faticoso. Faticoso anche per noi adulti.

ESEMPIO: Samuele a portare a termine un compito ci mette più di quello che io mi sarei immaginata. Espressioni come ”Dai Samu, quanto ci metti?!” (che pure qualche volta pronuncio, ahimé) non lo aiuterebbero minimamente a mantenere / recuperare l’attenzione persa. In quei momenti quello che io reputo più importante è: avvicinarmi a lui, scusarmi se ho parlato troppo, e comprendere se il metterci più tempo sia dovuto a una carenza di informazioni di contenuto o di abilità cognitive. E poi trovare il modo per essergli di aiuto affinché la sua mente riprenda in mano il lavoro e riesca a portarlo a termine con successo. Difficile? A volte questo mi richiede un enorme lavoro di pazienza e flessibilità verso me stessa, prima di tutto: accettare di rivedere i miei piani e le mie aspettative, per me, non è mai semplice.

L’APPRENDIMENTO E’ UN PERCORSO DI COGNIZIONE E EMOZIONI

Emozioni e cognizioni sono due facce della stessa medaglia, sosteneva Piaget. Oggi le neuroscienze confermano che emozioni e cognizioni, pur appartenendo a due ambiti distinti, sono sistemi sincroni, ed è sempre più chiaro quanto siano interdipendenti l’uno dall’altro. Quando viviamo esperienze, costantemente, entrano in gioco cognizione ed emozioni.

Quando organizziamo delle proposte di gioco, divertimento, riabilitative, educative o di istruzione è importante curare anche il setting emotivo. Non basta aver pianificato la proposta nei minimi particolari, aver organizzato l’ambiente, scelto con cura i materiali, aver programmato ogni fase dell’intervento e colto il momento secondo noi ideale per agire. E’ altrettanto importante curare il setting emotivo di cui beneficia il bambino / gruppo. Quando poi ci rivolgiamo a un bambino che fa più fatica cognitivamente, tutto questo diventa ancora più importante e necessario: sostenere il sistema emotivo equivale a offrire condizioni di maggiore possibilità di successo cognitivo. Pre – occuparsi del setting emotivo equivale a fornire occasioni concrete e reali attraverso cui il bambino può percepirsi capace, sperimentare autoefficacia e aumentare la propria autostima.

SUGGERIMENTO DEL TERZO ELEMENTO DI SUCCESSO

sono due gli elementi di cui pre – occuparci: MOTIVAZIONE E INTERESSE.

Uno dei criteri di mediazione sostenuti dal metodo Feuerstein è quello chiamato INTENZIONALITA’ E RECIPROCITA’. I criteri individuano dei comportamenti che l’adulto mediatore assume per favorire la modificabilità cognitiva (di cui al punto 1). Feuerstein ne ha indicati in modo particolare 12, e tra questi i primi 3 sono ritenuti universali: essenziali e necessari sempre perché avvenga realmente una interazione di apprendimento mediato, che a sua volta con costanza e frequenza potrà produrre un cambiamento nel mediato (bambino/gruppo) e nel mediatore.

Il criterio INTENZIONALITA’ E RECIPROCITA’, indicato spesso come primo criterio, ci dice, tra le tante cose, dell’importanza che l’adulto mediatore sappia sollecitare e stimolare l’interesse e la motivazione del discente.

La motivazione è lo stimolo che spinge a portare a termine un compito con successo. Essa è strettamente connessa al senso di autoefficacia e ai cosiddetti ”stili attributi” di un alunno. Inoltre, influisce sull’attenzione, sulla scelta delle strategie da usare, e sugli altri aspetti emotivi con cui affrontiamo il compito. Aiutiamo abbastanza i bambini a comprendere per quale motivo dovrebbero sforzarsi nel compito che proponiamo loro? SE desideriamo che siano persone liberi e in grado di pensare autonomamente, non possiamo pretendere obbedienza: sarebbero passivi (e probabilmente infelici). E’ necessario stimolare la motivazione, estrinseca (finché sono piccoli), intrinseca poi.

L’interesse: mi assicuro di proporre al bambino contenuti di suo gradimento, che lo interessino, che gli permettano di vivere con successo il compito e che stimolino le sue passioni. Strutturo le mie proposte a partire dai suoi interessi, stimolo la sua curiosità e sostengo il suo appassionarsi ad alcune cose di questo mondo, per scoprire talenti e interessi propri.

ESEMPIO: stiamo lavorando al compito di scrivere, con la matita e in ordine crescente, i numeri da 1 a 10, da solo. Bene. Prima, durante (se necessario), di iniziare il compito io e il bambino condividiamo l’obiettivo del lavoro proposto, vediamo insieme il contenuto, il materiale scelto, come è strutturata la proposta e le sue richieste; ragioniamo (per il tempo che è per lui sostenibile) sull’importanza concreta di saper fare quelle cose che il compito richiede, sul risvolto operativo, concreto, quotidiano.

Infine, ma non meno importante: mi assicuro che siano vive in me, anche in me adulto mediatore, motivazione e interesse rispetto al mio compito educativo! Altrimenti, fossero assenti, dovrei proporre al bambino di fare altro, o… interrogrami seriamente rispetto a quale sia il mio posto nel mondo!

SINTESI

QUALE LA TUA ESPERIENZA IN MERITO A QUESTI ARGOMENTI? RACCONTAMELO NEI COMMENTI CHE PUOI INSERIRE PIU’ SOTTO E NON DIMENTICARTI DI SEGUIRCI TRAMITE SOCIAL!

Rachele Nicolucci
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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3 commenti su “Apprendimento: 3 elementi di successo.”

  1. Elena Rinaldi

    Ciao Rachele, Ti ringrazio ancora per il tuo lavoro così intenso di riflessione educativa, che arriva dalla tua newsletter. Vorrei proporti una possibilità di apertura. Sono entrata in contatto con un’associazione ” Pronto? Mamma risponde mamma” (non so se ne hai sentito parlare). Si occupa di supporto esclusivamente telefonico da parte di mamma volontarie (adeguatamente informate e formate), a mamme in cerca di supporto emotivo. Mi sto interessando per entrare a farne parte come volontaria, e mi è venuto in mente che la tua competenza professionale e la tua esperienza di mamma potrebbero sicuramente essere di aiuto a quest’associazione. Se dovessi aver voglia e tempo di stabilire un primo contatto informativo, ti allego il volantino. Grazie

    VOL MCM 2019 (2).pdf

    Elena

  2. Anna Maria Riillo

    Ciao cara. Grazie di tutto ma in questo tempo un grazie particolare per questo articolo. Nel dispiacere della breve vita di tuofratello Luca, sono quasi certa che è stato felicissimo di avere avuto te come sorella. E questo tuo ricordo dice molto anche del tuo. Grazie.

    P. S. Posso condividere questo articolo con l’ insegnante di Angela Maria? Sto cercando di sponsorizzarti alle sue maestre.

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