
Ottavo articolo della Rubrica “Apprendere dai Bambini”
L’arrivo di un bambino avvia un processo di cambiamento molto profondo. In un primo momento cambia il corpo della mamma, ma poi pian piano cambia anche l’immagine di ciascun genitore e del suo futuro, nel quale il nuovo arrivato dovrà trovare un posto tutto suo; l’intero nucleo familiare si troverà a dover gestire nuovi nei tempi, nuovi impegni e nuove relazioni.
La comparsa di emozioni nuove e difficili, come l’ansia, l’insicurezza e il timore di non essere dei bravi genitori può diventare un pensiero ricorrente che può compromettere la serenità dell’intero nucleo familiare. Ecco che diventa fondamentale confrontarsi e incontrare persone che vivono delle situazioni simili o persone con le quali poter instaurare delle relazioni di supporto e sostegno, proprio per non sentirsi soli di fronte a questo nuovo compito.
Durante i primi mesi di vita della nostra bambina ho frequentato un gruppo di neo mamme all’interno del mio consultorio di riferimento ed è stata per me un’esperienza molto positiva ed incoraggiante. La mia bambina dava immediatamente dei segnali di benessere e di serenità nel momento in cui entravamo in gruppo e facevamo delle attività insieme ad altre mamme e bambini. Come nella psicoterapia di gruppo che io esercito in studio, il potersi confrontare con altre persone in un contesto protetto da setting specifici dà grandi benefici e anche in questo caso la mia bambina mi ha insegnato che allo stesso modo far parte di un gruppo è un’esperienza positiva anche per un genitore alle prime armi al fine di diluire e ridurre le ansie e lo stress derivanti dall’intraprendere questa nuova ed impegnativa esperienza.
Quindi, il prendere parte a gruppi in cui ci si possa confrontare e vivere relazioni di supporto nelle diverse fasi di crescita del bambino, ma anche dei genitori può essere estremamente importante e di grande aiuto.
In tal senso ho potuto sperimentare l’importanza del far parte di una rete sociale familiare enon che possa permettere di mantenere alto e vivace il livello di scambio e di confronto, proprio per non sentirsi soli o scoraggiati di fronte a queste prime esperienze.
L’aumento delle preoccupazioni sulla gravidanza, il parto, l’allattamento, l’accudimento del bambino – sull’essere mamme, insomma – è legato a un’immagine “eroica” della maternità, che è stata alimentata da un eccesso di indicazioni, regole, consigli diffusi da riviste e manuali vari, e dal proliferare di gruppi social in cui l’esperienza di avere e allevare un bambino viene descritta come una serie di prestazioni in cui una “brava” mamma deve dare il meglio di sé, dimostrare di essere sempre all’altezza, e magari, se possibile, battere anche qualche record. Una specie di nuovo sport olimpico, in pratica.
In realtà, l’esperienza della genitorialità è un’esperienza di relazioni: la relazione speciale, unica, con il bimbo; le relazioni tra la coppia e con i familiari o con chi è più vicino alla mamma in quella fase della vita; le relazioni con i professionisti che affiancano la donna nel corso della gravidanza.
Queste relazioni diventano una grande risorsa di sostegno e conforto nel corso delle esperienze genitoriali.
Dottoressa Psicologa Psicoterapeuta Guarnera

Ancora prima di diventare madre, pensavo che l’esperienza della genitorialità sarebbe davvero stata, per me, una questione di relazione: immaginavo cioè che perno di questa dolce esperienza sarebbe stato il profondo e unico legame con il mio/i miei bambino/i.
Diventata madre per la prima volta, e iniziando a tessere, seppur timidamente, una trama di dialogo con quel cromosoma 21 in più del mio amato primo Bambino, l’esperienza di genitorialità, per noi, per me soprattuto in quanto mamma, ha dovuto fare spazio anche a figure di specialisti della riabilitazione, che, diciamolo, avrei preferito non dover frequentare, ma la Vita sa essere imprevedibile quanto generosa.

Devo anche riconoscere che non è stato facile né immediato, per me, elaborare una dinamica di relazione con altri genitori, miei pari: io mamma del bambino con trisomia 21 non sempre ero certa di poter essere inclusa in gruppi di mamme di bambini a sviluppo normotipico.
Questi pensieri abitavano in me, probabilmente perché le preoccupazioni legate alla socialità del mio bambino e, più in generale, alla capacità della società di essere realmente accogliente, inclusiva, sono emerse fin da subito in me. Società intesa in questo senso come famiglia, amici, parenti, gruppi di apprendimento informale, scuola… insomma intesa in senso ampio: come l’insieme di tutti i nostri Altri.
D’altra parte è anche vero che le mie prime giornate da madre, così come avviene a tutte le mamme alle prese con varie forme di disabilità e patologie, erano scandite da preoccupazioni, burocrazie, visite mediche e routine che generalmente, quando un bimbo ce la fa da solo, una madre non deve affrontare e saper gestire.
Diciamo perciò che durante i primi mesi della mia esperienza di genitorialità, circondata da tante amiche e conoscenti che, come me, erano diventate mamme o mamme bis, ho avuto bisogno di elaborare personalmente molte relativamente sia alla trisomia 21 che al mio percepire la normalità e inclusione, sperimentando prima e proprio direttamente su di me il grandissimo impatto che tutte queste questioni relative alla inclusione e partecipazione hanno.
Allo stesso tempo ci era ben chiaro, a me e a Alessandro, che non ci saremmo mai “rinchiusi” all’interno di nessun tipo di associazionismo proprio per salvaguardare la libertà e genuinità del nostro guardare e sentire: abbiamo ritenuto sempre fondamentale imparare a guardare Samuele, tutto Samuele, prima di soffermarsi sulla sua etichetta visibile o di lasciare ad essa il potere di dire il valore del nostro Bambino.
Il principio guida che da allora muove il mio agire di adulti, di persona, di madre, e che orienta le mie scelte di partecipazione ad alcune proposte è proprio quel desiderio di libertà e pienezza che ho sempre nutrito per il mio Bambino: cioè, proprio perché voglio che Samuele un giorno sia in grado di gestire la sua Vita, allora io, mamma, fin dai primi “passi” del mio Bambino, ho voluto/dovuto imparare io per prima a stare, a esserci, a agire con lui e per lui in mezzo a tutti gli altri, in mezzo ai miei pari e a chi sperimenta una quotidianità diversa dalla mia, senza guardare alle etichette visibili o meno loro o dei loro bambini. Andando oltre le etichette. Questo è importante per me mamma e per Samuele così come per Gabriele: partecipare insieme a tutti gli altri. Infatti abbiamo sempre ricercato gruppi di Bambini, bambini qualsiasi: con o senza varie forme della fatica dell’apprendere. Questa è la normalità della Vita reale.
Se voglio per i miei Figli un mondo inclusivo, realmente accogliente di tutti (perché non è solo una questione di disabilità), non posso stare ferma solo a pretendere inclusione o attendendo che altri costruiscano un mondo inclusivo. La responsabilità di quello che viviamo è anche mia. Soprattutto di fronte ai miei Figli.
Imparare a stare con gli altri, anche quando si vivono frequenze d’onda diverse. Perché in fondo quello che desideri tu, mamma di un bimbo a sviluppo normotipico, non è diverso da quello che sogno io per il mio Bambino. Perché in fondo le tue preoccupazioni legate alla crescita del tuo bimbo non sono così diverse da quelle che vivo io per il mio Bambino con la trisomia 21. E di questo mi dà conferma ogni giorno il mio amato Gabriele, fratello minore di Samuele.
Ciò che differenza una mamma di un bimbo a sviluppo normotipico da me, mamma di un Bambino con Sindrome di Down è che io devo imparare a dialogare in modo adeguato con quel cromosoma 21 e insegnare a molti altri, che non dialogano ancora, a farlo.
Ma il Tempo e lo Spazio di questo mondo ci appartengono allo stesso modo: agli occhi della Vita siamo due madri.
E allora sì: nasce Sindrome da Apprendimento e gli S.O.S. 21, perché le buone esperienze di apprendimento sono per tutti, non si insegna a suon di etichette e non si apprende in modalità definite dalle diagnosi (conosci i percorsi didattici Book EXPERIENCES?)
E allora questa nostra esperienza di genitorialità sta diventando un modo per abitare questo Tempo e questo Spazio, lasciando una traccia concreta del nostro esserci.
Parola d’ordine che ha maturato in noi alcuni tratti per divenire adulti di questo mondo: PARTECIPARE.
Ovvero, prendere parte in modo attivo a un fatto, a una attività. A un evento diremmo oggi.
Prendere parte in modo attivo, divenendo parte di qualcosa attraverso noi stessi, attraverso mezzi e strumenti che ci appartengono in modo personale: quindi attraverso il proprio sguardo, la propria voce, il proprio parlare, la propria storia, capacità di ascolto, di relazione.
Ciascuno di noi è portatore di una certa unicità che è sempre necessaria per tessere la storia di questo Oggi.
Partecipare significa, infatti, anche condividere con altri un pezzettino di sé, una propria caratteristica, sapersi mettere in gioco a beneficio di Altri, condividere esperienze, storie: ed è proprio così che decidiamo di andare oltre la capanna e di far nascere Sindrome da Apprendimento.
Se abbiamo in mente e nell’anima una idea di mondo che ci piacerebbe, la possibilità e responsabilità di realizzarla sta a noi adulti di Oggi: dunque partecipiamo per costruire insieme ciò che sogniamo!
Dallo sguardo con cui guardiamo il mondo dipenderà il mondo in cui viviamo!
Ma attenzione!
Sempre più frequenti e comuni sono le occasioni di eventi tramite social che ci richiedono in realtà una partecipazione che definirei passiva: Instagram, Facebook, YouTube, per esempio, sono eccellenti mezzi di comunicazione tramite cui una sola persona, o un gruppo molto ristretto di persone, esprime il proprio punto di vista o alcuni messaggi a una comunità più o meno ampia di ASCOLTATORI.
Certamente ascoltare è una forma di partecipazione, ma non mi attiva, non mi rende AGENTE, soggetto modificante, non avviene uno scambio comunicativo, un confronto, un dialogo.
Ecco perché Sindrome da Apprendimento crede in altre modalità di comunicazione e sollecita la partecipazione attiva di ciascuno, credendo fermamente nel valore di ciascuna persona e del dialogo.
Questi nostri prossimi appuntamenti di partecipazione attiva, al di là di etichette e diagnosi:
S.O.S. 21:
giunto alla sua terza edizione, questo corso di informazione attiva a sostegno della genitorialità consapevole, si rivolge a genitori che, per diversi motivi, per cause genetiche o altro, sono alle prese con la fatica dell’apprendere.
Non è solo una questione di cromosomi fuori posto, ma più in generale di apprendimento.
S.O.S. 21 è uno spazio e tempo dedicato al confronto tra genitori e famiglie, con l’obiettivo di dirsi come concretamente si possano superare certi pregiudizi e disposizioni mentali rispetto non solo alla trisomia 21, ma più un genere rispetto all’apprendimento, all’errore, al comportamento dei bambini, e per dirsi come la famiglia possa essere concretamente di aiuto in tutto questo.
Per saperne di più: leggi qua.
Sindrome da Apprendimento incontra la tua domanda -2

Secondo appuntamento di Sindrome da Apprendimento incontra la tua domanda.
Proseguiamo con queste opportunità di incontro vis à vis aperto a tutta la Community di Sindrome da Apprendimento perché crediamo profondamente nel valore del confronto, dialogo e lavoro sinergico tra famiglia, specialisti e scuola. Le categorie che sostanziano e abitano questo blog e progetto culturale. Conosci il nostro Archivio della Solidarietà? Puoi anche partecipare in modo attivo, oltre che godere della generosità di altri!
Sindrome da Apprendimento incontra la tua domanda è uno spazio e tempo di confronto libero a partire dalle domande, curiosità e interessi che stanno a cuore ai partecipanti stessi: così ci siamo incontrati il 16 aprile, in questo periodo stiamo lavorando alla condivisione di alcuni elementi di sintesi molto interessanti, emersi proprio durante il primo incontro di aprile, e ora ci ritroviamo il 14 maggio, ore 18, su Zoom, gratuitamente (obbligatori iscriversi), per continuare quei ragionamenti e accogliere nuove idee e conoscere altri membri.
P A R T E C I P A R E !

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