Il movimento del neonato in autonomia

Primo articolo della Rubrica “Mi muovo e imparo

Marta Favaro – neuropsicomotricista dell’età evolutiva, mamma.
Rachele Nicolucci – insegnante di lettere, mediatrice Feuerstein, mamma.

Avete presente quando in gravidanza si inizia a percepire il movimento della vita che sta crescendo dentro al corpo? Un’emozione indescrivibile! Io mi ricordo perfettamente quel momento anche se sono passati quindici anni. Ero quasi al quarto mese di gestazione, ad una festa di compleanno piena di belle persone, in un’atmosfera gioiosa. Immagino che anche il mio cucciolo volesse far sentire la sua presenza in un’occasione così speciale.
Quando poi ho voluto  approfondire i miei studi a tal proposito, mi sono imbattuta in una formazione che mi avrebbe preparata all’osservazione del movimento del neonato che tanto mi affascinava.

Quindi studiando i GMs (general movements o movimenti generalizzati) ho scoperto che questi iniziano già dalla 9^/10^ settimana di gestazione per continuare anche oltre la nascita, fino a 20/21 settimane di vita! 

Non si tratta di riflessi arcaici, nemmeno di reazioni posturali, ma di movimento spontaneo involontario. Movimenti che possiamo osservare durante la veglia del neonato, quando è tranquillo ed ha lo spazio sufficiente per esprimerli. Si muove un braccio, poi il polso, la mano e le dita, poi l’altro braccio, il capo il tronco le gambine, una alla volta e poi di nuovo il tronco il capo le braccia… sembra una danza che, pur essendo involontariaprovoca al bambino un grande piacere: l’espressione del volto è serena e distesa. 

Diversi sono i riflessi, perché si tratta di risposte motorie automatiche ad uno o più stimoli e sono responsabili della sopravvivenza nei primi mesi di vita in quanto trasmessi al neonato dal patrimonio genetico dell’apprendimento della specie (pensate al riflesso di suzione!!). 

Le reazioni posturali sono invece risposte facilitate da un determinato stimolo, come quelle che fa il pediatra al bambino (sospensione ascellare, trazione per le mani ecc). Queste reazioni cambiano nel tempo perché il bambino cresce e migliora le sue capacità motorie. 

Nei primi mesi di vita queste tre tipologie di movimento si trovano a convivere e alle volte si possono confondere tra loro nell’osservarle, almeno finché non ci si fa l’occhio. Sapendo comunque che il corpo è fonte e arrivo contemporaneamente di tutta la vita e vitalità del bambino, abbiamo il dovere di offrirgli le migliori condizioni affinché possa esprimere tutte le sue potenzialità e ricevere tutto ciò di cui ha bisogno. 

La gamma di movimento di un neonato è già ricchissima al momento della nascita, quindi nei momenti di veglia, una volta soddisfatti i bisogni primari, il bambino va lasciato libero il più possibile e nelle varie posizioni possibili. Vi saprà sorprendere mostrandovi di cosa è già capace!

Marta Favaro


Nella mia esperienza di mamma di due bambini, pur non avendo una esatta conoscenza delle diverse tipologie di movimento di cui un neonato è capace, ho fatto esperienza di quanto descritto sopra dalla dottoressa Marta Favaro

Ripensando a quei primi mesi di vita di Samuele e di Gabriele, mi torna in mente un’emozione straordinaria, che non dimenticherò mai, legata entrambe le volte a un fatto capitato poco dopo essere nati: appoggiati sulla mia pancia, hanno “marciato”, strisciato, alla ricerca del capezzolo, ed espresso dunque la volontà e la capacità di attaccarsi al seno. Loro sapevano già cosa e come fare! Incredibile quanto sia saggia la Natura!

Ero io che, per quanto mi fossi preparata già in occasione del primo parto, non avevo un’idea esattamente corretta e precisa di cosa fosse quel marciare di Samuele verso uno specifico obiettivo, il capezzolo: me lo avevano spiegato a dire la verità, un po’ velocemente e io non avevo dato troppa importanza alla cosa, immaginando perciò che, nato il bambino, qualcuno me lo avrebbe dato in braccio e che lui perciò sarebbe stato comodamente appoggiato direttamente al seno. 

E, invece, la sorpresa meravigliosa: l’ostetrica, saggiamente, ha messo Samuele sulla mia pancia, sotto gli occhi increduli miei e del papà, noi così abbiamo atteso che in qualche istante il piccolo raggiungesse la sua meta, sollevando a tratti la testina e trovando esattamente ciò che cercava!  A dire la verità, nella mia mente conservo il ricordo di aver atteso in quella occasione un tempo brevissimo,  ma è assai probabile che questi miei ricordi siano “ubriachi” di emozioni e offuscati dal tempo che passa.

Naturalmente questo fatto in me, nel tempo, ha assunto un valore simbolico immenso, quasi “sacramento di vita”: anche il mio piccolo Samuele, pur con quel “pentolino” (rimando a questo articolo in cui presento uno splendido libro per l’infanzia: Il pentolino di Antonino, clicca qua) sempre tra i piedi, è riuscito a giungere autonomamente al capezzolo, cogliendo quel preciso richiamo del “patrimonio genetico dell’apprendimento” tipico della nostra specie.  Anche questo cioè ha contribuito al strutturare in noi, in me e in Alessandro, quel dire con fiducia e sempre: “Forza Samuele!!! Ce la fai!”,  consapevoli che, così come era riuscito a pochi istanti di vita a rispondere a un istinto filogenetico, sempre potrà tentare e trovare una soluzione per raggiungere i suoi obiettivi (il guaio è, invece, quando sono gli altri a non offrire possibilità immaginando, per ignoranza o per paura, che quel cromosoma in più sia più forte della sua volontà e delle sue possibilità cognitive)

Torniamo a noi: così pure è avvenuto col secondo parto, sorprendentemente in acqua (non era in programma la cosa!!!!), quando è nato Gabriele. Ero più consapevole. Nato, ancora legati dal cordone ombelicale, appoggiato sulla mia pancia, è giunto al seno anche lui spontaneamente, iniziando a mangiare come un leoncino!! Chi gli ha spiegato come funziona la suzione?! Sapeva già tutto, utilizzando riflessi arcaici funzionali alla sopravvivenza della nostra specie, ieri più di oggi naturalmente,e aveva forza ed energia per riuscirvi da solo bene. E’ stato lui a ricordarmi come si compie l’allattamento e, osservandolo, ho cominciato a “rispolverare” i particolari dei piccoli movimenti necessari per una buona suzione.

Come tutte le mamme, ho trascorso ore a osservare i loro movimenti spontanei durante i momenti di veglia e a fotografarne ogni piccola variazione: mi ha sempre affascinata notare in loro le espressioni di piacere, a volte quasi estasiate, durante il proprio sgambettare, il ruotare il viso e gli occhi se sollecitati da una carezza, agitare braccia, polsi, mani, e poi il loro stringere le nostre dita se messe in mezzo alle loro manine. Si trattava di movimenti consapevoli? No, nel tempo ho compreso che si tratta di riflessi che servono non solo per strutturare i primi basici schemi motori, che poi, in un futuro molto prossimo, il bambino impara a mettere in atto con consapevolezza, ma servono anche per rafforzare una certa relazione emotiva-affettiva tra il cucciolo d’uomo e il suo “branco”, servono anche perché gli adulti di riferimento si sentano fortemente legati al piccolo, perché lo prendano in simpatia: “Guarda, si è voltato per guardarmi”, “Guarda mi stringe la mano!” “Guarda, mi riconosce e mi sorride!”.

Trascorrendo i giorni, anche i miei bambini sono diventati più consapevoli del proprio corpo, della propria volontà, del proprio essere in un certo spazio o sopra un altro corpo o oggetto, e i movimenti dettati dai riflessi filogenetici, tipici della nostra specie, hanno lasciato spazio ad altre tipologie di esplorazione psico-motoria.

Aver conosciuto la dottoressa Marta Favaro, quando Samuele aveva qualche mese di vita, mi ha dato la possibilità di diventare più consapevole rispetto all’agire dei miei bambini, di riconoscere i bisogni che loro, neonati, manifestavano, pur senza pianto la maggior parte delle volte, tramite i loro stessi movimenti. Così, ad esempio, ho imparato a riconoscere il “riflesso di Moro”, riflesso non controllabile, che può essere esso stesso fonte di paura per un neonato, o comunque espressione del momento in cui il neonato percepisce la mancanza di equilibrio, sentendosi instabile:  la postura cambiava repentinamente, aprivano all’improvviso le loro braccia, quasi indietro, come a cercare un appiglio dietro e ogni parte del loro corpo perdeva quella armoniosa postura flessoria tipica di un neonato. 

Come reagire? Tranquillizzandoli, mi bastava in realtà appoggiare la mia mano sul loro sterno e ritrovavano serenità e conforto. 

Al corso preparto mi avevano insegnato a riconoscere i segnali del Rooting reflex e a intervenire prima che il bimbo arrivasse a metterne in atto i movimenti in uno stato emotivo agitato: quando un neonato ha fame comincia a manifestarlo in modo pacifico ma, se questo bisogno di nutrimento non viene soddisfatto subito o se prende il sopravvento l’angoscia e la paura di non essere compreso ad esempio, la tensione cresce al punto che poi potrebbe diventare difficile persino calmarsi e mangiare. Quindi ho imparato che non appena i miei bambini giravano il capo come alla ricerca del capezzolo, magari muovendo anche la bocca e la lingua, sebbene calmi e pacifici, era meglio proporre loro cibo senza aspettare un loro richiamo lamentoso e più insistente.

Sarebbe stato un dramma lasciare che in loro prendesse il sopravvento la paura, la fame, la stanchezza magari fino ad arrivare al pianto? 

Sì, per me sì. 

Io ho capito che è importante costruire una relazione onesta con i propri figli, basata sulla fiducia reale, meritata. La fiducia di un figlio si conquista, giorno dopo giorno, sebbene il loro amore per noi genitori inizialmente sia smisurato e incondizionato; non la si tradisce, non la si può pretendere in virtù di una etichetta di ruolo di cui l’adulto gode. E dunque, consapevole che alcuni dei loro movimenti neonatali esprimevano disagio-timore-paura di cadere-fame-bisogno di rassicurazione, ho sempre risposto facendo sentire immediatamente una presenza fisica rassicurante e soddisfacente.. 

Dove ho imparato questo? 

In modo teorico preparandomi al parto e al post-partum,  in modo concreto guardando la dottoressa Marta finché si approcciava a Samuele!

Expert Teacher, caregiver, sibling
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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