Emozionarsi
Quarto articolo della Rubrica “Apprendere dai Bambini” |
In questa occasione mi piacerebbe raccontarvi di come grazie alla mia esperienza di maternità ho potuto riscoprire e guardare con occhi nuovi l‘importanza dell’emozionarsi intensamente per poter entrare in contatto con l’Altro.
Nel mio lavoro di psicoterapeuta tengo sempre a mente il concetto di “rêverie”( parola importata dal francese, che vuol dire “fantasticheria”), ma nell’accezione di significato che propone Bion (1962a, 1962b), intendendo la capacità della madre di accogliere le emozioni e le sensazioni che il neonato “proietta in lei”, di elaborarle, di trasformarle in una forma che la psiche di un neonato possa recepire e reintroiettare dentro di sé. Nel mio lavoro molte volte mi metto in questa posizione mentale, così da aiutare il paziente a ripensare, a ritradurre e a rivedere le esperienze passate sotto altri occhi.
Con la nascita della nostra bambina ho avuto modo di scoprire quanto sia fondante questo meccanismo per un corretto sviluppo psico-fisico del bambino e della sua relazione la madre. Lasciarsi attraversare da emozioni così nuove e così intense, non sempre è semplice, ma forse è il modo più diretto per entrare in contatto con il neonato e aiutarlo comprendere le proprie emozioni (pensiamo alla fame, sete, desiderio di vicinanza, sonno e così via). Chiaramente non sempre ci si “azzecca” al primo colpo, ma, per tentativi ed errori, il bambino e la mamma costruiscono insieme una catena di significati per tradurre e rendere comprensibili le emozioni, che inizieranno poi ad essere sempre più comprensibili e tollerabili da entrambi.
Annamaria Guarnera,
psicologa, psicoterapeuta, mamma
Ma, l’emozione ha un senso, uno scopo.
(Le emozioni dei bambini di Isabelle Filliozat)
È terapeutica.
Mi torna così alla mente di quando, al terzo anno di infanzia e, inserito in un gruppo classe nuovo, e anche con la consapevolezza che la mamma avrebbe trascorso la mattina a casa con il fratellino neonato, Samuele aveva ad un certo punto iniziato ad avere un comportamento insolito e “bizzarro”. Non era sua abitudine atteggiarsi così, perciò ero ulteriormente più certa che vi fosse una spiegazione logica, sebbene nascosta e non verbalizzata, a quanto stava capitando…
Al mattino, arrivati in classe, giusto appena varcata la soglia dell’aula, invece che salutare o comunque entrare nei ritmi del gruppo classe, il piccolo si “tuffava” per terra… Non era da lui questo atteggiamento, che, ammetto, in un primo momento mi ha lasciata una sensazione mista, di imbarazzo e fastidio direi.
Le maestre, oltre a sorridere teneramente per quanto accadeva ogni mattina, per lo più attendevano o sollecitavano Samuele a tirarsi su.
Si sa: una volta che consegni il bambino in classe, generalmente è difficile poter riprenderlo per intervenire e parlargli ancora e in ogni caso da quel momento in poi sapevo di dover lasciare la “patata bollente” a tutti gli attori del gruppo classe.
Ma a me stava a cuore il benessere del mio bambino. Quindi, volendo interrompere questa modalità espressiva non appropriata e apparentemente poco significativa, ho dovuto trovare altri escamotage che mi permettessero di comprendere prima il mio bambino per sostenerlo poi nella rielaborazione dei suoi pensieri e emozioni, per permettergli così di utilizzare strategie di risposte più adeguate.

Questa situazione è stata, infatti, realmente per me l’occasione per accogliere, elaborare e trasformare.
>Accogliere: inizialmente, lo ammetto, mi preoccupava e agitava vedere il mio bambino in un comportamento socialmente non adeguato e non opportuno rispetto al contesto. Mi sono dovuta realmente sforzare per accogliere lui e quella sua esigenza non espressa verbalmente.
È stata una occasione per tentare di non riversare su di lui questa mia frustrazione nata in risposta a questo suo comportamento, rispetto al quale mi sentivo impotente e sorpresa. Ogni tipo di mio richiamo non solo sarebbe stato vano ma avrebbe avuto il potere di amplificare quel suo “disagio”; ogni mio tentativo di giustificazione avrebbe permesso il reiterarsi ancora in futuro di questa sua modalità di risposta; ogni mia azione per sminuire, o, viceversa, accusare questo suo agire -o tutto il bambino stesso- non avrebbero portato alla soluzione che abbiamo, insieme, trovato.
E così, nel tentativo di accogliere questo suo comportamento che nasceva da un suo sentire profondo, ho dovuto so-stare dentro questa nuova situazione, osservare attentamente e con cura il bambino e ogni altro elemento della scena, pensare e comprendere profondamente il suo sentire oltre che al mio.
>Elaborare: lavorare per sviluppare, in me e poi in lui, nuove idee e atteggiamenti della mente e del corpo.
E così ho dovuto davvero fermarmi, respirare a fondo per mantenere cuore e mente lucidi, mettermi nei panni del piccolo Samuele, per “parafrasare” questo suo atteggiamento e darvi senso nel rispetto della sua dignità.
Cosa sta succedendo? Cosa vedo? Cosa possono fotografare i miei occhi nei comportamenti del suo corpo e del sentire della sua mente da quando usciamo di casa a quando entra in classe?
Quando si rialza?
Cosa mi sta dicendo Samuele? Di cosa sente bisogno quando agisce così? Cosa lo spinge a buttarsi per terra non appena varca la soglia della porta della classe? …
Mi ci è voluto qualche giorno di osservazione e di tentativi… ma questo tipo di “lavoro” che ha tirato fuori idee e sentimenti, rendendo giustizia al vissuto e al sentire dell’Altro, mi ha permesso di sviluppare delle ipotesi di comprensione rispetto a questo comportamento “bizzarro”, ampliando la “cassetta degli attrezzi” per occasioni presenti e future.
Ad un certo punto è arrivato il mio forse lui fa così perché… E così siamo arrivati alla fase tre.
Avere l’intelligenza del cuore significa non solo saper amare e capire gli altri, ma anche essere capaci di rimanere se stessi in tutte le situazioni che la vita ci presenta, sia quelle piacevoli sia quelle più dolorose.
(Le emozioni dei bambini di Isabelle Filliozat)
>Trasformare e restituire al bambino consapevolezza e strategie di risposte, a lui comprensibili e da lui spendibili per sé: ho iniziato a dare una nuova forma a tutto ciò che precedeva il momento dell’ingresso “teatrale” in classe affinché Samuele, comprendendo le proprie emozioni del momento, potesse rispondervi in modo pertinente al contesto e nel rispetto della sua persona tutta.
L’idea che mi muoveva, avendo considerato una serie di fattori, era cioè che Samuele, entrando in aula, sentisse il bisogno di tuffarsi perché non aveva altri strumenti con cui fronteggiare la grandissima emozione che provava in quel momento per dire “ehi ciao, sono felice di essere arrivato anche io! Chissà quante cose belle faremo oggi insieme!”.
Le mie considerazioni e azioni:
(A) Al mattino era facile prepararsi per andare all’asilo: a quel tempo eravamo rallentati dal fratellino neonato, ma Samuele andava a scuola volentieri e quindi uscivamo abbastanza in orario. (B) Il tragitto verso scuola era tutto un cantare insieme e osservare e descrivere il paesaggio…
(C) Posteggiata l’auto nel giardino della scuola, si correva via dritti attraversando il cortile, spesso saltellando e cantando insieme, ma era chiaro che l’emozione aumentava a ogni passo compiuto verso il portone di ingresso della scuola… fino a “esplodere” in saltelli e piroette varie all’arrivo della maestra che veniva ad accoglierci, spesso riservando domande a cui si attendeva una veloce risposta e senza stabilire un aggancio oculare che fosse per il bambino calmante e da accompagnamento all’ingresso in aula.
C’era anche da considerare che l’anno scolastico precedente, Samu era stato in un’altra sezione della stessa scuola: quel gruppo classe aveva preso da sé spontaneamente l’abitudine di uscire dalla classe per accogliere i compagni che erano appena arrivati, molte volte si aiutavano a spogliarsi o si attendevano gioiosamente… probabilmente a Samuele costava un po’ trovarsi in un gruppo classe abituato a gestire diversamente il momento dell’arrivo, in modo, se vogliamo meno accogliente e più solitario.
Ecco: ho iniziato allora a proporre delle piccole varianti durante ciascuna di tre fasi con l’obiettivo di dare a Samuele più strumenti per controllarsi emotivamente.
(A -> A+) A casa ho cercato di dare più tempo, per diminuire quella pur minima sensazione di “far le corse” per arrivare puntuali e aiutare il bambino nel sentire se stesso e controllare le proprie emozioni e stati d’animo durante il prepararsi per andare a scuola.
Quindi: oltre ad avere più tempo, ci ritagliavamo dei momenti per dirci come ci sentivamo, occhi negli occhi, proprio finché ci si preparava per la giornata che ci attendeva. Come stai questa mattina Samuele? Sei felice di andare a scuola? Hai voglia di tornare dalla maestra e dai compagni? Cosa farai di bello oggi? Come sta battendo il tuo cuore adesso? E i tuoi occhi dicono che sono contenti? E la mamma che sguardo ha? Gabriele ti accompagna volentieri? Le tue gambe sono contente di portarti a scuola? E i piedini si stanno preparando?
(B -> B+) I 15 minuti di auto necessari per raggiungere l’asilo erano diventati una occasione per alternare momenti di silenzio ad altri di canto insieme, e per riportare alla mente sia le cose belle fatte insieme durante il giorno prima che quelle che ci avrebbero atteso poi, a pomeriggio o a sera.
(C -> C+) Arrivati nei pressi della scuola, ci concentravamo su quello che stava per capitare e tentavo di sollecitarlo a raccontarmi come si sentiva, guidandolo attraverso qualche semplice domanda o attendendo un suo esprimersi più liberamente: agitato, preoccupato, felice, sereno, curioso, un po’ infastidito perché sarei rimasta con Gabriele, in attesa, … l’importante era identificare l’emozione provata da lui in quel momento, da me, e… dalle persone che incontravamo 🤣
Ma soprattutto, giunti nel salone delle delle sezioni, lo rassicuravo dicendo che era normale sentirsi così tanto “adrenalinici” e curiosi da non stare, letteralmente, più nella pelle, che io ero serena a saperlo a scuola e che avremmo potuto raccontare insieme alla maestra di questa grande, e forse nuova, emozione.
Così, appena si apriva la porta di classe e la maestra ci accoglieva riservendoci un bel sorrisone, io mi premuravo di intervenire in quei dialoghi veloci a sostegno di Samu, tentando di aiutarlo a dare voce al fatto che lui fosse proprio contento di essere arrivato a scuola, ancora emozionato per il cambio di classe (spesso, piccino, si dirigeva istintivamente verso la vecchia aula) e curioso di vedere come sarebbe andata la giornata là.
👉🏼 Perciò, proprio sulla porta di ingresso, prima di entrare in classe, quando necessario anche utilizzando un gesto di discreto contenimento (tipo appoggiando delicatamente una mia mano sulla sua pancia, o quasi abbracciandolo, o prendendo una sua manina), a voce bassa, quasi sussurrando e parlando in modo delicatamente deciso, ricercando e chiedendo un buon contatto oculare tra noi due, gli chiedevo (chiedevo e non dicevo io: perché lui potesse dirlo da solo a se stesso) come avrebbe potuto salutare i compagni già presenti:
ciao a tutti!
Oppure: ciiiiaooooo!
Oppure: manina che saluta con un bel sorriso.
O ancora: eccomi!

Quali risultati abbiamo conquistato così?
Pian piano così è diventato più facile creare sintonia emotiva tra le insegnanti e Samuele, e tra bambini, e questo mi ha permesso anche di mostrare a Samuele come si può fare per esprimere e gestire le proprie emozioni: non occorre fuggirle, piuttosto si possono ascoltare, comprendere, elaborare e poi rispondere in modo opportuno. E questo vale anche per me, per me donna e per la me sua madre.
Un’altra buona esperienza che ci permette ancora oggi di dirci che, quando si sente in difficoltà, può provare a chiedermi aiuto: qualche soluzione troveremo insieme!
Post Scriptum
Nel nostro caso è stato necessario accompagnare Samuele con queste attenzioni per qualche giorno, poi, gradualmente, tutto è stato gestito in modo più spontaneo e senza la necessità di troppe attenzioni. Alla fine, se lo vedevo più movimentato del suo solito o più sfuggente al contatto oculare con le insegnanti ai primissimi saluti del mattino, quelli ancora in salone, mi bastava ricordargli un momento come avrebbe potuto agire entrando in classe e che i tuffi si fanno in piscina 😉
E, per concludere questo mio intervento, vi saluto con le parole di una professoressa italiana che stimo molto:
In estrema sintesi, come dovrebbero comportarsi gli insegnanti e, in generale, gli adulti?
Daniela Lucangeli, A mente accesa, Mondadori, 2020
<<Dovrebbero abbassarsi e sorridere>> direbbe forse Alessandro.
Dal suo punto di vista, infatti, la figura d’aiuto non era tanto <<quella in camice>>, o <<quella che decide>>, ma <<quella che si china>>, che non si concentra sulla cartella clinica ma che guarda <<dritto negli occhi>>.
Proprio come avrei voluto accadesse nel caso di mio fratello: che gli fosse garantito non soltanto da noi, ma da tutte le figure che avevano il compito di capire il suo bisogno, un aiuto vero, profondo, duraturo, affinché quell’esperienza dolorosa si trasformasse in memoria utile per il resto della vita.
Prendila per mano, seguila pian piano
Senti come nasce, guarda dove va
Prendi un’emozione e non mandarla via
Se ci vuoi giocare, fai cambio con la mia
Puoi spiegarla a chi non la sa
E tutta la tua vita vedrai
Un’emozione sarà

Rachele Nicolucci
Autrice, fondatrice e coordinatrice di “Sindrome da Apprendimento”
Expert Teacher in organizzazione scolastica – Mi occupo di processi cognitivi dell’apprendere e metacognizione, con un approccio neuropedagogico e della pedagogia della mediazione Feuerstein.
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