Articolo numero 11
Rubrica Tra metacognizione e divertimento
Una delle domande che recentemente mi hanno posto alcune mamme che seguono Sindrome da Apprendimento è proprio questa: ”come posso proporre un gioco al mio bambino?”. In rete non si trovano effettivamente grandi informazioni al riguardo perché probabilmente è un aspetto ancora troppo sottovalutato e che, invece, meriterebbe molta più considerazione.
Sappiamo quanto il gioco sia un’attività fondamentale e necessaria per lo sviluppo globale di ciascun bambino e di ogni ”pezzettino” del suo sé. Tanto è importante da essere considerato un Diritto fondamentale per ciascun fanciullo. Anche per i bambini che fanno più fatica ad apprendere. Sappiamo anche, e ormai chiaramente, che il gioco è uno strumento educativo e anche di potenziamento cognitivo e ne abbiamo parlato in uno dei nostri precedenti articoli: Giochiamo insieme? – Parte teorica.
Oggi, passando attraverso la nostra esperienza, rispondo a quella domanda che mi è stata posta, delineando degli atteggiamenti dell’adulto che ritengo utili e importanti sia nel caso in cui si tratti di proporre un gioco a un bambino piccolo, che a un preadolescente, o una nuova attività di apprendimento/gioco a un gruppo classe.
Come mi comporto quando presento un gioco ai miei bambini o una nuova attività ai miei alunni? Immaginiamo che si tratti di una novità: di un gioco mai visto. Quindi di una situazione di gioco mai affrontata.
Da dove iniziare?
Si inizia sempre dall’inizio! Può sembrare banale ma spesso ce lo dimentichiamo saltando fasi preziose, specie quando la proposta è una novità o gli altri possono far fatica per una serie di motivi! Il primo inizio vero e proprio della presentazione del gioco nuovo è il saper lasciare tempo e spazio ai miei destinatari (alunni, bambini, adulti, ecc) per esplorare la novità o per averne un primo e libero contatto.
Naturalmente sono io, adulto, che devo saper adeguare il mio comportamento al contesto specifico: relazionarsi con adulti, con bambini o con adolescenti sono tre cose ben diverse.
Ad esempio: se mi sto relazionando con bambini piccoli, come i miei, che hanno bisogno di esplorare percettivamente la realtà per poterla comprendere, lascio allora a loro disposizione il materiale del gioco nuovo. Se ho paura che, manipolandolo, si possa rompere, prevedo allora un momento iniziale di esplorazione guidata. Questo momento è molto, molto, proprio tanto, utile anche per permettere ai bambini di focalizzare gli oggetti, dare loro un nome, nominarli correttamente, percepire la fiducia dell’adulto, e per… formulare ipotesi e attivare un pensiero personale: a cosa potrà mai servire questo? Secondo te, come si usa? Cosa ti fa venire in mente? …
Quando, invece, non è possibile o non è necessaria questa fase di contatto e di manipolazione del materiale di gioco, allora creo una cornice di pensiero e di attesa attorno a questa novità (ma lo stesso vale anche quando non è una novità): attraverso indovinelli, domande, il recupero di memorie, attraverso un brainstorming, dialogando rispetto a ciò che di quel gioco si può vedere o pre-vedere.
Potrai chiedermi a questo punto:
Perchè tutto questo lavoro e attenzione?
Per tre motivi principalmente.
1 – Perché ho visto che così si allenano diverse abilità importanti e necessarie per sviluppare competenze e metodo di studio/lavoro: non c’è cosa più preziosa che insegnare a pensare, e quindi insegnare a porre domande e formulare ipotesi. L’autonomia di pensiero e le capacità di guardare al mondo con criticità e creatività vanno curate, giorno dopo giorno.
2- Dobbiamo sempre considerare che è necessario coinvolgere e rendere attivi, protagonisti attivi, i nostri interlocutori: qualsiasi sia la loro età e condizione genetica! Impariamo noi per primi a essere reciproci, nel senso inteso dal dott. Feuerstein, e quindi a modulare noi stessi in base ai nostri destinatari e a formulare delle proposte di loro interesse.
3- Dare la possibilità di manipolare le parti del gioco, in modo concreto e/o mentale (a seconda del contesto in cui ci troviamo) permette di stabilire non solo reciprocità e attenzione, ma anche di soddisfare quelle curiosità e voglia di esplorazione che, soprattutto nei bambini piccoli o in chi non gode di un buon autocontrollo psicomotorio, sono naturali e che hanno proprio necessità di essere ascoltate e soddisfatte. L’apprendere costruisce, non allontana. Educare è anche proporre modelli di interazione, non proibire per paura di non saper gestire (ma questa è un’altra storia).
Conclusa questa fase, che durerà il tempo di cui avranno bisogno i nostri bambini/alunni/adulti, allora possiamo procedere con la vera e propria presentazione del (nuovo) gioco:



Io inizio sempre dal titolo: questo gioco si chiama (es.) RUBAMAZZO; e dalla presentazione ordinata del suo materiale: Ci sono tante carte. Quante sono? Le contiamo insieme? Guarda, ogni carta ha un’immagine. Cosa c’è disegnato?
Per poi passare alla spiegazione delle regole solo quando che il mio bambino/alunno è sintonizzato, interessato e motivato a ascoltarle: altrimenti come posso immaginare che abbia senso il mio parlare?
Se questo non avviene in modo spontaneo, sollecito questa sintonizzazione e insisto a rendere più emotivamente significante e significativa questa proposta. Potrebbe in alcuni casi risultare necessario modificare il mio comportamento e aspettative (…), o chiedere all’interlocutore se sa come deve comportarsi per comprendere quello che sto dicendo. Nel nostro caso, chi mi frequenta sa che deve guardarmi negli occhi e aspettare una domanda a cui rispondere, con le mani e bocca tranquille, in ascolto.
Presento le regole in modo più concreto e attivo possibile: Come si usano queste carte? Allora: io ne dò 3 a te e 3 a me (distribuisco le carte). Ne mettiamo 4 scoperte qua sul tavolo (e lo faccio). E via via continuo a spiegare il procedimento del gioco, simulando una partita vera e propria. Passo dopo passo, mi fermo e pongo una domanda per verificare che sia davvero chiaro e compreso: (es.) chi prende le carte scoperte? Come si può rubare il mazzo agli altri giocatori?
Prima di passare a una nuova partita, propongo un momento di trascendenza (direbbe il dott. Feuerstein), cuore pulsante del potenziamento cognitivo, chiedo ad esempio al mio bambino/alunno quando (in quale cioè altra situazione di gioco e/o esperienza di apprendimento) ha già utilizzato quelle strategie e comportamenti (per es. attendere il proprio turno) che si stanno rivelando funzionali al successo di questo giocare insieme!
Quando propongo il gioco una seconda, terza, quarta volta, immaginando che i miei bambini abbiano compreso tutto il lavoro fin qua, prima di iniziare una nuova sessione di gioco, chiedo semplicemente di dire insieme come si gioca o dedichiamo qualche secondo a ricordare un particolare divertente successo durante le prime occasioni di contatto/gioco con le carte Rubamazzo.
Questo approccio è, a mio avviso, valido per ogni situazione in cui vi trovate a presentare un (nuovo) gioco o attività di apprendimento: io ho portato un esempio di vita realmente e recentemente vissuta, ma questo procedimento potete applicarlo a moltissimi contesti, giochi, età, condizione di apprendimento, ecc.
Sintesi
- Dare tempo e spazio per esplorare il materiale nuovo
- Dare occasione per elaborare un proprio pensiero rispetto alla proposta, attese e ipotesi di funzionamento
- Titolo
- Regole
- Obiettivo del gioco
- Rendere significativo questa occasione dal punto di vista emotivo
- Rendere utile questa esperienza per la Vita, generalizzando l’importanza di usare i contenuti e/o strategie funzionali e di successo del gioco in altri contesti di Vita reale.
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