La nostra esperienza di neuropsicomotricità: io sono, quindi posso.

“L’esercizio di una funzione ne determina la struttura” (cit. prof.ssa D. Di Jorio): neuropsicomotricità e sindrome di Down.

Ho incontrato la dottoressa Marta Favaro, neuropsicomotricista, quando Samuele aveva 5 mesi. Avevo già sentito parlare di lei nei mesi precedenti perché tanti suggerimenti ricevuti rimandavano proprio a lei; noi ci abbiamo messo il nostro tempo a decidere di compiere il passo di contattarla: molto probabilmente incontrarla corrispondeva a una delle prime mosse tramite cui ammettere che, sì, per il nostro Bambino era importante essere seguito da un neuropsicomotricista. All’inizio credo di essermi dovuta impegnare persino per pronunciare correttamente questa parola, mi pareva quasi uno scioglilingua:

n e u r o (!!!!) p s i c o m o t r i c i s t a …

ma poi, esattamente, di cosa si sarebbe occupata???!!!

Allora (2015) ne avevo un’idea vaga, ho dovuto documentarmi e porre domande; oggi (2022) sono impegnata a concludere un master in “Neuropedagogia dei processi cognitivi” e mi è perciò molto chiaro non solo chi sia e cosa faccia un neuropsciomotrcista ma soprattutto quanto siano fondamentale la sua figura e la sua buona preparazione teorico – pratica: la motricità e il movimento sono fondamento imprescindibile per lo sviluppo cognitivo e, più in generale per la crescita mentale armonica di una creatura.

Torniamo a noi.

Il desiderio, che da sempre muove me e Alessandro, mio marito, di non privare il piccolo Samuele di nessuna possibilità e di proporre ciò che decidiamo liberamente di scegliere per lui, e non necessariamente proposta da un sistema -più o meno fortunato- socioassistenziale, ci ha permesso comunque di procedere coraggiosamente e di cercarla.

Ricordo ancora di averla contattata telefonicamente finché passeggiavo per le stradine di campagna, vicino casa, in un dopo pranzo di quelle prime giornate primaverili: godevo di quel timido tepore di fine marzo per farmi forza, nel tentativo probabilmente di abbassare il mio livello di emozione dato che per la mia prima volta contattavo una figura professionale come la sua.

A dire il vero, io e Alessandro eravamo reduci da alcune esperienze toste, e non positive: eravamo diventati genitori solo da qualche mese eppure avevamo già incontrato chi avrebbe voluto scoraggiarci.

Infatti esperienze di quelle in cui incontri specialisti che inviano -indirettamente- il messaggio che sono solo loro a sapere cosa c’è da fare e come andrà a finire con il pupo (che la Vita ha affidato a te!), che i genitori devono solo ad-fidare sé stessi e il figli agli esperti, senza fare domande o richieste; specialisti di quelli che, in fondo, trasudano l’idea che i genitori possono anche non capire molte cose e perciò che sia meglio non averli tra i piedi durante i loro interventi con i bambini.

Nel tempo abbiamo incontrato diverse persone che avevano questo tipo di atteggiamento, in diversi ambiti: in ospedale, ambulatori privati, studi di specialisti, corsi di formazione, ecc. Per noi, invece, è da sempre inconcepibile una dinamica del genere e nel tempo, crescendo professionalmente, informandoci, acquisendo maggiore sicurezza, sviluppando buone aspettative, abbiamo elaborato un modo di rispondere a queste richieste (indecenti) equilibrato e, comunque, a beneficio del nostro bambino.

Le prime certezze

Quelli subito dopo la nascita di Samuele erano anche i mesi del “perché a noi?” e del “e ora come si fa?” e, in tutto quel trambusto, l’unica cosa che mi era assolutamente chiara era tutto ciò che NON volevo assolutamente: né per me né per il mio bambino.

Di tutto il resto non avevo la minima idea.

Esattamente come avviene durante l’infanzia: le mie prime conquiste di autonomia genitoriale e la consapevolezza di essere al mondo come madre, il mio nascere come mamma, è avvenuto a partire proprio dai miei NO.

Quanta strada da allora, quanta strada in questi anni di Vita, quanti Sì da allora!

A lei, alla dottoressa Marta, il merito di averci accompagnati e sostenuti con delicatezza e professionalità nel prendere consapevolezza del nostro ruolo genitoriale, nell’acquisire uno sguardo più autentico e informato con cui osservare la straordinaria crescita e lo sviluppo psicomotorio del nostro cucciolo, nel conquistare fiducia come individui e come genitori e, soprattutto, nel vivere in fiducia e sintonia con lui, bambino. Bambino a 360 gradi.

La cosa infatti che ci è sempre piaciuta di Marta e che ci ha legati a lei (unica figura di professionista che non abbiamo mai cambiato negli anni) è la sua naturale capacità di guardare a Samuele semplicemente per il bambino che è: mai (o quasi mai) nominate sindrome, trisomia, disabilità, inclusione, ritardo e altre etichettature che sarebbe facilissimo, fin troppo scontato e banale, utilizzare per farcire il proprio parlare da professionista.

Su di noi questo ha avuto un effetto L I B E R A T O R I O !

Qualcuno finalmente poteva, e voleva, lavorare con il piccolo senza guardare continuamente e in modo ossessivo a quel cromosoma, o per lo meno solo a quello; finalmente qualcuno che volesse prendersi carico di TUTTO il suo essere bambino, mettendo in evidenza le possibilità / le capacità / le energie e le abilità già presenti, attive o da sviluppare.

In quei mesi avevo già iniziato a divorare alcuni kg di libri e a avvicinarmi al mondo della “pedagogia positiva” e questo orientava ovviamente le mie aspettative e ricerche in una determinata direzione, che non era facile soddisfare: Marta, devo dire, che ha incarnato per noi l’idea dello specialista dalla parte del bambino, di cui tanto avevo letto.

E allora voglio presentarvela, a me l’onore di intervistarla per voi, amici di Sindrome da Apprendimento:

Marta, come è iniziata la tua avventura di neuropsicomotricista?

Ciao, è una storia… Innamorata sin da piccola del movimento (ero una ginnasta), ho coronato il mio sogno di iscrivermi all’Istituto Superiore di Educazione Fisica subito dopo la scuola media superiore. Già durante questi anni mi ha incuriosita come il movimento può essere espressione di qualcosa di più di una mera competenza tecnica, magari coinvolgendo anche altri meccanismi legati alla comunicazione, al desiderio, ad aspetti della personalità e in quest’ottica mi sono avvicinata alla scuola di formazione triennale in psicomotricità relazionale della mia città. Quindi ho iniziato a sperimentare oltre che su me stessa, il valore del movimento, del corpo, del gioco, della relazione, anche con i bambini, scoprendo un mondo che non ho più abbandonato.

Quindi da insegnante di “ginnastica” sono diventata psicomotricista relazionale ed ho continuato la mia formazione in questa direzione, facendo contemporaneamente esperienza diretta. Nel tempo ho conosciuto tanti bambini ed avevo l’impressione che stessero sempre peggio, che fossero sempre più frequenti certe problematiche sia di ordine motorio che emotivo affettivo e relazionale, per non parlare dei ritardi del linguaggio! I miei studi allora hanno cominciato a guardare al prima, a cosa succede ai bambini prima dei tre anni, fino alla nascita e addirittura al concepimento. L’iscrizione al corso di neuropsicomotricità dell’età evolutiva è stato un passaggio naturale, così come cercare percorsi formativi e documentazione sul questo tipo di argomenti. Appassionarmi a come il cervello si organizza per arrivare al movimento, a come il movimento è lo strumento che ogni bambino ha per parlarci di sé, è stata una conseguenza ovvia.

A quel punto ho capito che ogni bambino ha alla nascita un suo progetto motorio e che se noi adulti favoriamo e incoraggiamo adeguatamente questo progetto, gli permettiamo di esprimere le sue potenzialità che avranno un impatto enorme per tutta la sua vita… era questo quello che cercavo, cioè dove posizionarmi per aiutare i bambini a non sviluppare disagi futuri.

Qual è un aspetto bello del tuo lavoro e di cui non potresti fare a meno?

Sicuramente la relazione, innanzitutto con i neonati. Quando incontro bambini nati da poco mi emoziono sempre nell’incontrare il loro sguardo che mi parla; inoltre la possibilità di osservare il movimento spontaneo che si manifesta per un periodo limitato… mi sento molto privilegiata.

Cosa ti aspetti dai genitori che incontri? Qual è il messaggio che più frequentemente ti capita di trasmettere?

Mi aspetto il desiderio di farsi sorprendere dai loro figli, quindi spesso cerco di comunicare che i figli sono una grande occasione di crescita per i genitori; che è importante dare loro tutta la nostra fiducia… i maestri sono i bambini.

Cosa ricerchi per i bambini che ti vengono affidati?

Nel tempo il mio lavoro ha preso una forma sempre più orientata verso la prevenzione dei disturbi, infatti ho creato un percorso di accompagnamento allo sviluppo neurpsicomotorio nel primo anno di vita che serve a conoscere e favorire le fondamentali tappe di questo percorso; ciò non toglie che quando arrivano bambini in qualsiasi età dello sviluppo io non sia disponibile qualora ritengadi poter essere utile. In questo caso il mio primo pensiero è entrare in relazione, poi sta al bambino decidere cosa mostrare. Se si riesce ad usare il corpo, il movimento, il gioco, indipendentemente dal livello di competenza del bambino, nel piacere reciproco per tutto il tempo a disposizione, ecco che nasce la magia, la motivazione. È così che il bambino si mostra e mi permette di capire da dove iniziare il mio lavoro, con l’obiettivo di aiutarlo ad esprimere al massimo le sue potenzialità.

Credi e riconosci che il tuo stile abbia un valore aggiunto rispetto ad altre proposte di neuropsicomotricità?

Questo proprio non lo so. Credo che il mio stile rispecchi perfettamente la mia personalità, senza veli. Mi piace molto l’idea che ognuno viene da una storia diversa e che come struttura il proprio lavoro in questo campo (cioè dell’età evolutiva) può essere un’enorme opportunità per chi incontra. Allora meglio se il tutto nasce dalla passione e dall’amore per i bambini ed il loro futuro.

Allora domando a me stessa:

Quanto è stato importante, e quanto lo è ancora, poter scegliere le persone e professionisti a cui affidare i nostri figli?

Tantissimo, per noi lo è infinitamente.

Per noi è fondamentale affidare l’osservazione dello sviluppo dei nostri cuccioli e il sostegno opportuno a persone che condividono con noi genitori un certo approccio all’infanzia, e alla Vita.

Allora siamo grati a Marta non solo per il suo lavoro di neuropsicomotricista individuale e di gruppi di psicomotricità relazionale, che in questi anni Samu ha sempre frequentato con entusiasmo e costanza; le siamo grati perché il suo lavoro nei gruppi è attento al gruppo, formato da tanti individui e perché in questo stile c’è spazio per tutti; e, soprattutto, le siamo grati per averci guidati, con gli occhi ogni volta pieni di stupore, alla scoperta di un mondo che noi prima non conoscevamo (quello dello sviluppo neuropsicomotorio di un bambino) e di averlo fatto senza porre limiti tra noi e i nostri figli (sì, perché l’avvenuta è proseguita, e proseguirà, anche con Gabriele), senza porre alcuna diagnosi o protocollo medico/comportamentale tra lei e noi, tra lei e Samuele.

Cosa ci abbiamo guadagnato così?

Il vivere credendo in Samuele, e non nella diagnosi che su di lui è stata fatta.

Esattamente come dovrebbe essere per ogni figlio, con o senza una certa “sentenza” di…

Ci abbiamo guadagnato il tentativo di imparare a intercettare e assecondare le sue competenze e preferenze (o almeno noi ci sforziamo tutti i giorni di essere alla sua altezza), esperienza che a noi si è presentata in modo decisivo in occasione dei suoi primi passi.

“Io posso quindi sono” (dal titolo di uno degli appuntamenti SOS 21)

Nei mesi in cui lui stava imparando a camminare, Marta sosteneva infatti l’importanza di lasciarlo sperimentare in una dimensione di reale autonomia. Perciò erano sconsigliati una serie di condotte che, generalmente, si adottano, come il farlo camminare per manina, il sostenerlo sotto le ascelle, offrirgli una serie di “stampelle” … Non nego che la cosa ci aveva sorpresi e quasi disorientati.

Questa faccenda, invece, si è poi rivelata un’opportunità preziosa e fondamentale per comprendere e scegliere quale stile adottare come genitori.

Si sa che il momento in cui un bambino sta per conquistare l’autonomia e indipendenza del proprio cammino potrebbe avere un certo sapore per i genitori, soprattutto se alle prime armi. Da un lato generalmente si gode per queste espressioni di crescita del piccolo, ma dall’altro potrebbe capitare di esserne persino rammaricati, quasi che questa autonomia possa significare essere meno importanti per il bambino stesso.

E allora, dare quella manina a sostegno dei suoi primi passi insicuri poteva essere una rassicurazione più per noi genitori che una necessaria “stampella” per lui.

Ci abbiamo pensato e ragionato e, alla fine, abbiamo scelto di accogliere queste proposte di Marta perché offrivano l’opportunità di recapitare un preciso e profondo messaggio al bambino: tu puoi farcela da solo! Noi comunque siamo qua a fare il tifo per te e per darti un grosso abbraccio, qualsiasi cosa accada!

E così, un bel giorno, giocando a nascondere e ritrovare un cucchiaio dal manico viola, Samuele ha deciso di muovere in completa autonomia i suoi primi passi e da allora è stato un crescendo di dirsi: “Io posso!” 🥳

Ti aspetto nei commenti per conoscere se anche tu hai avuto la fortuna di incontrare lungo il tuo percorso uno specialista “dalla parte del bambino”.

Rachele Nicolucci
Autrice, fondatrice e coordinatrice di “Sindrome da Apprendimento”

Expert Teacher in organizzazione scolastica – Mi occupo di processi cognitivi dell’apprendere e metacognizione, con un approccio neuropedagogico e della pedagogia della mediazione Feuerstein.

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