I bambini possono dire di no agli adulti?

In questi giorni diverse situazioni, recentemente vissute, mi stanno portando a riflettere su alcuni atteggiamenti dei miei figli, comportamenti che peraltro sono comuni a moltissimi bambini: cioè in certe situazioni specifiche, Samuele e Gabriele manifestano delle risposte emotive e di comportamento diverse da quelle che gli adulti presenti gradirebbero ricevere da loro. Cose che capitano a molti bambini, anche se…
È capitato che, ad esempio, esprimessero disagio e fastidio rispetto a certe cose che sono state loro proposte da alcuni adulti.
Si tratta di episodi in occasione dei quali loro hanno reagito, esprimendosi ancora una volta per lo più silenziosamente e pacificamente, senza teatralità, e probabilmente anche per questo motivo è facile essere fraintesi dagli altri: utilizzano la gentile comunicazione non verbale delle manine, degli occhi, il cui sguardo si abbassa o si dirige altrove, del corpo/mente che si blocca in qualche caso o che, in altri momenti, va via in modo diretto e repentino, senza più voler tornare in quel contesto.

Sono gestualità casuali oppure hanno un significato? Perché i bambini, ad un certo punto, si comportano così abbandonando una certa disinvoltura psico-fisica?

Naturalmente, per noi genitori, hanno un chiaro intento comunicativo: e l’intenzione e bisogno loro in quel preciso momento è di esprimere il proprio disagio o fastidio.

È accettabile questo?
Permettiamo davvero ai bambini di esprimere dissenso, disagio o fastidio per delle proposte fatte da noi a loro o per delle richieste che qualcun altro ha loro riservato?

E Cosa succede In noi adulti, quando un bambino ci riserva un Evidente, seppur pacifIco, rifiuto?

Fino a qualche tempo fa, quando capitavano queste situazioni, io, figlia di una certa educazione tradizionale, secondo la quale il bambino doveva fondamentalmente ubbidienza agli adulti e non aveva granché diritto all’espressione del proprio sentire, avevo spesso l’abitudine di fare almeno un tentativo di conciliazione tra le parti, chiedendo in modo deciso, in quel preciso momento, al mio bambino di entrare in contatto con quell’adulto, senza nemmeno chiedergli cosa lo avesse fatto sentire, per esempio, a disagio. Cioè quello che desideravo in quelle situazioni era non avvertire il disagio degli altri adulti o non trovarmi io stessa in situazioni di difficile gestione emotiva per me o per gli altri presenti.


I miei bambini, in questi anni, mi hanno aiutata a comprendere che non funziona così e che dovevo cambiare, riparare, qualcosa in me, prima di tutto. Perché il loro sentire fastidio e la loro spontanea e sincera espressione di rifiuto o di disagio mi creavano così tanti imbarazzi?

Oggi, sebbene in situazioni come queste, mi preoccupi principalmente dei miei figli, soprattutto in alcuni contesti personali e professionali continuo a domandarmi che cosa si scateni nel cuore e nella mente di un adulto, quando dei bambini esprimono un certo disagio. Per esempio per una proposta ricevuta da lui, per una vicinanza fisica non richiesta, per l’imbarazzo di non saper come o cosa rispondere alle domande che pone lui, per i commenti detti dall’adulto e non richiesti dal bambino.
Cioè mi chiedo: ma gli adulti, soprattutto quelli che amano definirsi educati e gentili, sanno educare al consenso? Siamo in grado di fare tesoro dell’esperienza e degli strumenti comunicativi verbali e non verbali dei nostri piccoli per costruire relazioni buone con loro e per rispettare davvero i bambini?

Così la mia mente torna indietro nel tempo. E mi domando come avrei reagito io, da bambina, alle invadenze di certi adulti? … e riaffiorano i ricordi. La mia mente si sposta ancora e approda al mio oggi: e io, oggi, mamma e adulta, come reagisco a chi oltrepassa un limite personale con me? Sono queste alcune delle domande che mi hanno permesso di “districare la matassa”…

L’esperienza mi insegna che, causa una serie di retaggi culturali e di un certo tipo di educazione e istruzione ricevuta, non è facile mettersi così in gioco rispetto a un bimbo, soprattutto se parla poco. Effettivamente, nonostante le tante occasioni di informazione e formazione, capita ancora di sentir parlare dei “capricci” dei bambini o che sia considerato cosa di poco conto il fastidio provato da un “cucciolo” per una determinata situazione o persona.
La priorità è insomma, purtroppo, ancora riconosciuta ai bisogni affettivi dell’adulto o ai suoi desideri e obiettivi relazionali.

… e gli adulti: non siamo mai “capricciosi” nei confronti dei bambini? Sì, lo siamo. Anche noi facciamo i “capricci” e spesso approfittiamo della nostra prepotenza per ricevere consensi, non naturali.

Come si può reagire in situazioni In cui un bambino Esprime il suo no?

Per rispondere, faccio appello ad alcune parole di Isabelle Filliozat che, in Le emozioni dei bambini, suggerisce così:

Siete sorpresi e disarmati davanti all’intensità di un’emozione di vostro figlio? Non capite cosa può scatenare una determinata reazione? Non sapete come aiutarlo ad affrontare una prova?

Ascoltatelo, mettetevi alla sua altezza, guardate con i suoi occhi, ascoltare con le sue orecchie, e fatevi questa domanda:

Qual è il suo vissuto?

Su questa scia, io e Alessandro, mio marito e padre dei miei bambini, stiamo tentando di vivere uno stile genitoriale che tenga in gran conto il punto di vista dei nostri bambini, in ogni circostanza che li riguardi: non è cosa facile e sempre ovvia, perché noi stessi siamo cresciuti immersi in un’altra cultura emotiva-relazionale, e dunque molte volte ci troviamo di fronte alla necessità di riformulare un nostro pensiero e linguaggio emotivo-comunicativo, in modo più adeguato e rispettoso della dignità e della persona dei nostri figli.

Di fronte alle loro “tempeste” emotive stiamo scegliendo di so-stare, di sub-stare: restiamo saldi, ancorati per loro come un porto sicuro, per poterli accompagnare lì dove il loro vento soffia.

Nella quotidianità dei fatti significa, secondo noi, accogliere il loro punto di vista anche se sussurrato, il loro sentire, oltre che il nostro di oggi e dei bambini che siamo stati.

Così, ad esempio, volendo accompagnare Samuele che sta crescendo e che incontra degli ostacoli nella fase di produzione verbale, comprendendo che lui sperimenta, consapevolmente, un naturale ventaglio emotivo assai variegato, lo sosteniamo nella fase di rielaborazione di quanto vive in sé e con gli altri, dandogli strumenti per re-agire anche verbalmente, in modo da sentirsi competente, consapevole delle proprie emozioni e sentimenti, sempre in contatto con gli altri e con sé, ma soprattutto felice.

Non è questo che un genitore desidera più di ogni altra cosa per il proprio bambino? La felicità, quella duratura e concreta, che passa anche attraverso la consapevolezza del proprio sé.

Così, dunque, noi genitori ci stiamo assumendo la responsabilità di accompagnare i bambini alla scoperta del linguaggio emotivo che è allo stesso tempo universale e individuale e, in questa prima fase dello loro vita, anche di interpretare, “decifrare”, quelli che potrebbero essere superficialmente definiti “capricci”1 o bronci del momento.

In Il bambino è competente Jesper Juul, terapeuta familiare, sostiene:

Imparare dai nostri figli richiede ben più che parlare con loro in modo democratico; significa imporsi di sviluppare un tipo di dialogo che molti adulti non sono in grado di stabile neppure con altri adulti: un dialogo personale basato su uguale dignità.

Sì, un dialogo che riconosca ai bambini quella stessa dignità che un adulto pretende per sé.

In molti ormai conoscono i principi educativi provenienti dal mondo montessoriano2, dalla cosiddetta “disciplina dolce”, e sempre più frequentemente si legge dell’importanza di accogliere le emozioni espresse dai bambini, considerati persone – individui a tutti gli effetti e dotati di pensiero, di capacità di scelta, di emozioni e sentimenti, al pari di un adulto.

Isabelle Filliozat in “Le emozioni dei bambini” spiega:

L’intelligenza del cuore è la capacità di risolvere i problemi posti dalla vita e dal rapporto con gli altri. Per essere esercitata pienamente, richiede una giusta padronanza delle paure, degli scatti di collera e dei sentimenti di tristezza che punteggiano la vita quotidiana. […]

L’intelligenza emotiva è strettamente correlata alla capacità di stabilire buone relazioni con gli altri (intelligenza relazionale). […]

Rispettare le emozioni del bambino significa permettergli di sentire chi è, di prendere coscienza di se stesso in quel preciso momento. Significa considerarlo un soggetto unico, consentendogli di mostrarsi diverso da noi, una persona che ha il diritto di rispondere in modo del tutto personale alla domanda: chi sono? Significa anche aiutarlo a realizzarsi, a costruire il suo passato e immaginare il suo futuro, a prendere coscienze delle sue risorse, delle sue forze come delle sue mancanze.

Il bambino impara soprattutto dai genitori. L’atteggiamento che si assume nell’educare un bambino è determinante nello sviluppo del suo quoziente emotivo. […]

Aiutare i figli a sviluppare il loro quoziente emotivo ci obbliga a sviluppare il nostro.

Mio figlio può dunque riservare a me o a un altro adulto un suo personale “No!”?

Noi consideriamo che questo sia un suo diritto!
Anzi, quasi un suo “dovere evolutivo” per il bene del suo sé e, in fondo, anche per il nostro di genitori, adulti in crescita.

Riteniamo fondamentale essere da supporto ai nostri figli nel loro percorso di sviluppo emotivo, d’altra parte J. Piaget (che ha avuto come allievo il prof. Feuerstein) sosteneva che “Cognizione ed emozione sono due facce della stessa medaglia”!

Per noi è importante che i nostri bambini sentano di poter scegliere in libertà e in modo autentico, anche andando oltre i desideri/intenzioni/preoccupazioni che possiamo vivere noi, adulti e loro genitori. Perché, come dice il libro di Debi Gliori3, un adulto, un genitore soprattutto, può sempre rispondere alle tempeste emotive del proprio bambino rassicurandolo così “Ti voglio bene anche se…”:

Tra di noi non cambia niente: che tu sia un orsetto o no

io per sempre ti amerò.

Ok, ma Un bambino che fa fatica a esprimersi verbalmente come Può dire di no?


Ultimamente, dato che Samuele è più grandino e che vive con consapevolezza gli altri e le sue relazioni, consci che lui fatica nella produzione verbale (ma non nella comprensione verbale e non verbale!), abbiamo voluto sostenerlo in modo concreto soprattutto in alcune precise situazioni di difficile gestione per lui.

Così, ad esempio, dopo aver ragionato con lui sulla legittimità delle proprie emozioni e su una dinamica che gli ha procurato in diverse occasioni fastidio e disagio, dopo averlo accompagnato a una rielaborazione equilibrata della situazione che sentiva in quel momento molto fastidiosa, gli abbiamo suggerito di provare lui stesso a parlare con la persona coinvolta proprio di quanto successo, contando sulla nostra presenza: così, pur utilizzando poche parole, il messaggio è arrivato “forte e chiaro” e lui si è sentito più tranquillo e libero.

Riguardo a questo argomento, alla possibilità cioè di accompagnare i bambini che fanno fatica verbalmente a comprendere il proprio sentire, e quindi a fiorire nella propria sensibilità, che fanno fatica a esprimere a parole le proprie emozioni, a raccontarle ad altri, personalmente ritengo ci siano davvero troppe poche occasioni di informazione/formazione e che, in genere, se ne parli poco pubblicamente.

I bambini che parlano poco, perché timidi, insicuri, perché linguisticamente affaticati o svantaggiati, più di altri rischiano di essere invisibili, o guardati nei termini delle proprie conquiste e non del proprio essere.

Bisogna intervenire ed è necessaria una grande delicatezza e attenzione nei loro riguardi.

Conclusioni a cui siamo giunti noi:
a. I Nostri bambini possono, devono, a qualsiasi ETÀ, esprimere se stessi e le proprie emozioni. Anche se questo potrebbe signiFicare andare contro una asPettativa / desiderio di un adulto, che sia il genitore, un parente, un educatore.
B. Noi genitori, Come gli aDulti in genere, abbiamo il compito di accompagnarLi in questo percorso, che e’ anche un viaggio del bambino alla scoperta del proprio SÉ,deLle proprie risorse e Degli strumenti comunicativi opportuni.
C. Accompagniamo i bambini Con il dialogo attivo e con l’ascolto accogliente di qUanto vivono, e, sopratutto lÌ dove emergono fatiche nella produzione verbale, Interveniamo proprio per incentivare e stiMolare il valore della parola che cosTruisce relazione.


1 Isabelle Filliozat, Le emozioni dei bambini, Pickwick, 2014: “Dietro quello che i genitori chiamano ‘capriccio’, dietro a un comportamento bizzarro, sconveniente, eccessivo o semplicemente non ordinario, dobbiamo cercare l’emozione, il bisogno. Il bambino ci sta dicendo qualcosa”.

2 In Montessori. La scoperta del bambino, Garzanti , 1970 si legge che Montessori sosteneva che “Dare al fanciullo il dono di ‘esser compreso’, di essere corrisposto nei bisogni profondi dell’anima [significa] spalancare le porte della salute anche al suo sangue, alla sua digestione e alla sua forza fisica.[…] La constatazione fatta nelle nostre scuole dell’influenza che ha sulla salute il coefficiente psichico e anche l’esperienza tante volte ripetuta di malattie infantili guarite con il regime della felicità non ci portano a trascurare le condizioni di vita fisica, ma solo a considerarle [su] un piano [inferiore] alle condizioni morali. […] ciò che si chiama ‘salute fisica’ non dipende solo dall’ “assunzione delle materie necessarie”, ma soprattutto dal modo in cui l’organismo può ‘utilizzarle’.

3 Debi Gliori, Ti voglio bene anche se… , Mondadori Libri, 2017

Rachele Nicolucci
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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2 commenti su “I bambini possono dire di no agli adulti?”

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