Fatti di musica: crescere, apprendere e giocare con la musica

La musica contribuisce allo sviluppo cerebrale? L’ascolto della musica è un’esperienza solo uditiva?

Musica e linguaggio: che rapporto c’è tra loro? Un dominio aiuta l’altro? Un dominio cresce attraverso l’altro?

E, soprattutto: la musica può potenziare cognitivamente la nostra mente? Può potenziare facoltà cognitive non musicali?

Ciao, sono Rachele Nicolucci,

Expert Teacher in organizzazione scolastica.

Mi occupo di processi cognitivi dell’apprendere (con particolare interesse, in questo momento, verso quelli che riguardano la lettoscrittura) e di metacognizione.

Lo faccio in un’ottica di neuropedagogia e di pedagogia della mediazione Feuerstein.

La mia mission è quella di contribuire allo sviluppo di buone pratiche di didattica inclusiva e sostenere le figure di aiuto nel loro agire sostegno reale per il successo formativo di ogni studente, anche quando realmente presenti le fatiche della disabilità intellettive.

Nel mio blog così come in molti degli eventi che organizzo e conduco potrai avvicinarti a molti pezzettini del mio studio continuo: una delle cose che posso fare – al fine di modificare l’approccio degli adulti all’apprendere di ogni studente- è condividere alcuni aspetti formativi e informativi, accendendo la tua mente su “finestre” di sviluppo importanti e necessarie, sostenendoti nella formazione di un tuo “modus operandi” attraverso cui ogni studente potrà essere di successo.

Al tuo e al mio apprendere!

La musica è uno dei linguaggi possibili dell’apprendere

Uno dei motivi per cui trovo l’argomento molto interessante (al punto da proporlo in un webinar recentemente registrato e che a breve troverete a disposizione nella sezione dedicata) è che la musica, ancora troppo spesso intesa per lo più solo come linguaggio di espressione artistica e creativa o come occasione di divertimento e relax, è in realtà uno dei linguaggi dell’apprendere.

La musica cioè permette di crescere anche da un punto di vista cerebrale.

La musica permette di apprendere: non solo perché chi fa musica (in modo attivo) naturalmente ha da apprendere gli elementi costitutivi della musica stessa, necessari per quell’esperienza musicale, ma, soprattutto perché attraverso la musica, più in generale, accomodiamo dentro di noi informazioni che prima non ci appartenevano e tramite le quali riusciamo poi a adattarci meglio all’ambiente di riferimento (apprendimento).

La musica è strumento e occasione di gioco: per un bambino che fa davvero più fatica può essere molto difficile stare nel gioco e inventarsi giochi (puoi approfondire in questi articoli precedenti: Come presentare un nuovo gioco; Giochiamo insieme?). La musica in questo può essere una dimensione preziosa tramite cui stimolare i prerequisiti e le abilità necessarie al gioco stesso. La musica crea e favorisce relazioni di gioco. In questo caso però è fondamentale che chi intende usare la musica come strumento “terapeutico” sappia anche quali sono i meccanismi mentali che inducono un individuo al gioco e, ancora prima, che sia in grado di osservare la persona di cui si prende cura.

Un altro dei motivi per cui mi sono avvicinata a questo argomento lungo la mia formazione in neuropedagogia è il fatto che musica e linguaggio coinvolgono strutture nervose simili. Di questo avevo accennato anche nell’articolo “Comprensione e produzione verbale: ecco come fare per stimolarle” e parleremo in modo più specifico in uno dei prossimi eventi che sto organizzando.

Musica e sviluppo cerebrale

La musica contribuisce allo sviluppo cerebrale?

La musica è uno dei linguaggi di sviluppo di cui anche la nostra cultura dispone (ogni cultura ha la propria musica…) e attraverso lo strumento musica è possibile stimolare, educare, formare, apprendere.

Diversi studi contribuiscono a confermare che la musica è in grado di promuovere la maturazione neuronale (sia di struttura che di funzione) e per esempio, anche per questo, oggi esistono protocolli di proposte ai i bambini prematuri come strumento di sollecitazione di sviluppo.

Sappiamo infatti che l’attività musicale, che inizia quando entriamo in contatto con una certa informazione per mezzo del canale sensoriale “udito”, stimola il nervo uditivo attraversando strutture che accendono e trasmettono al sistema limbico, al talamo, alla corteccia, al lobo frontale. In questo modo il nostro cervello riesce a organizzare gli attributi fondamentali anche dell’informazione musicale (altezza, metro, armonia, melodia) in concetti di livello superiore.

L’attività musica infatti coinvolge moltissime regioni del cervello a noi note: le sedi del pensiero cosciente, della memoria a lungo termine, delle emozioni, della motricità, ecc… La musica non è, in questo senso, un’esperienza solo artistica o solo di piacere.

L’esperienza musicale ha infatti effetto anche sulla riorganizzazione della rete di connessioni cerebrali; facilmente potrai riconoscere che la musica ha, anche su di te, per esempio un tale impatto da poter alterare la tua frequenza cardiaca, la tua respirazione, i movimenti muscolari, la pressione sanguigna, e persino la soglia del dolore (pensiamo ad esempio alle esperienze di parto dolci).

Le tecniche di cui disponiamo oggi, tipo la risonanza magnetica funzionale e la magnetoencefaolografia, hanno permesso di comprendere che la musica agìta frequentamente, quella cioè prodotta da un organismo attivo e non in modo sporadico, favorisce persino la maturazione del corpo calloso, che è quella zona del cervello che permette il dialogo tra i due emisferi.

L’ascolto della musica quindi no, non è un’esperienza solo uditiva!

La musica può potenziare cognitivamente la nostra mente?

Fare musica in modo attivo, ma anche immaginarla avendone consapevolezza, ha un impatto positivo sui domini specificatamente cognitivi (che pure sono condizione richiesta e necessaria all’agire in termini musicali) e pure sui processi dell’apprendere.

Allora risulta spontaneo chiedersi:

  • L’ascolto della musica può modificare facoltà cognitive non musicali?
  • E’ possibile che un’esperienza di musica classica stimoli (accenda cioè) e potenzi (qua si intende, invece rafforzare, solidificare, rendere più robuste) le capacità matematiche, quelle verbali o quelle visuospaziali del Bambino?

Qualche tempo fa si parlava dell’effetto Mozart: qualcuno ha sostenuto cioè che il solo ascolto della musica di questo straordinario compositore potesse avere effetti benefici, importanti e duraturi nel tempo, sul nostro cervello. Tra studiosi e ricercatori si sono verificate una serie di controversie e di contestazioni proprio al riguardo: era realmente possibile sostenere che l’ascolto di Mozart potenziasse, seppur in modo temporaneo, il ragionamento spaziale – astratto, migliorando così le abilità matematiche?

Ciò che oggi è scientificamente accettato e ritenuto indiscutibile è l’importanza e l’influenza che un’educazione musicale intensiva (frequente e significativa cioè, quella in cui il Bambino è agente, protagonista attivo) e impartita in età precoce può esercitare sul cervello ancora plastico del Bambino.

Ascoltare Mozart (o qualsiasi altro autore musicale) può risultare un’esperienza piacevole e sicuramente non danneggia il cervello, anzi può stimolare (in quanto esperienza di musica) –accendere– molte aree del nostro cervello.

ATTENZIONE: non possiamo però pensare che il solo ascolto abbia la potenza di migliorare, modificare (creare un cambiamento) e cioè di potenziare, in modo significativo competenze, per esempio matematiche.

Quando, invece, il contesto è quello di un rapporto attivo – di agito- con la musica (e cioè di lettura di spartiti, di suono e di ascolto), di un’azione intenzionale e gradualmente consapevole (anche di studio) fin dalle fasi precoci di vita, quando l’esperienza è continua e frequente allora può verificarsi anche il miglioramento dei domini cognitivi nel musicista.

Pensa che la ricerca ritiene che, mentre il cervello di uno scrittore sia un comunissimo cervello, quello di un musicista sia, invece, un cervello che si fa riconoscere poiché sviluppa connessioni particolari, diverse da quelle che comunemente troviamo.

Nel 1955 è stato dimostrato infatti che il corpo calloso dei musicisti matura prima così come che una parte della corteccia uditiva (planum temporale), se opportunatamente sollecitata, in un musicista può aumentare dimensionalmente; così come che potrebbe verificarsi, in un musicista, un aumento della sostanza grigia in alcune aree, tipo quelle motrici, uditive, visuospaziali).

I musicisti sono un esempio di plasticità cerebrale: si formano nuove connessioni, reti, in base all’esperienza. Alcune di queste connessioni si stabilizzano, e vengono messe in contatto con altri circuiti e domini: in questo senso il beneficio si estende anche in termini di apprendimento.

Dunque ha senso proporre musica ai Bambini?

Sì, certo! Assolutamente sì!

Sono davvero molte le attività e attenzioni che possiamo offire in casa o che professionisti della musica possono proporre alla fascia 0-6 e poi anche a quelle successive, in dinamiche individuali o in percorsi di gruppo.

Prima ancora di avvicinare il Bambino allo studio di uno strumento sono davvero tante le attenzioni che un professionista e un genitore possono avere per accompagnare il Bambino lungo la sua scoperta della “propria musica”, della propria voce, attraverso il movimento del corpo e la percezione della musica sensorimotoria.

Sulla base dell’esperienza che i miei Bambini vivono con i loro maestri di musica e sulla base di quel che sto imparando io stessa studiando, posso suggerirti alcune possibilità. Ad esempio in questo possono essere di aiuto, se usati intenzionalmente e secondo un approccio personalizzato (e non come in una sorta di elenco impersonale da proporre indistintamente a tutti e in successione uguale per tutti) l’uso di albi illustrati e testi per l’infanzia (alla fine dell’articolo trovi la condivisione di alcuni testi che ti suggerisco sulla base della nostra esperienza), l’ascolto di ogni genere di musica in modo interattivo e partecipato, uso e osservazione e esplorazione di strumenti musicali veri, il cesto del tesoro musicale che per me e Samuele ha avuto sempre una valenza anche di supporto allo sviluppo dei prerequisiti al linguaggio (di cui ti ho parlato anche in questa diretta Instagram).

Sai bene che io realmente non amo dare suggerimenti di attività e giochi perché effettivamente la cosa più importante non è sapere COSA fare ma aver chiaro L’INTENZIONE, l’obiettivo di quella interazione di gioco e sapere COME ottenere ciò che per quel Bambino è realmente occasione di crescita. E’ altresì vero che inserire nell’ambiente di vita, o di studio, oggetti di musica permette al Bambino presente di poter scegliere di esplorare questo linguaggio di sviluppo: cioè la presenza di oggetti e strumenti tramite cui agire musica è comunque una condizione necessaria perché il Bambino possa esplorare questa dimensione di sé.

Bada bene però: stimolare e potenziare non sono la stessa cosa!!! Il fatto che uno specialista della musica, un musicoterapeuta, un maestro di musica, un musicista possono stimolare un bambino attraverso esperienze di musica non significa necessariamente potenziare cognitivamente il Bambino. Se l’esperienza musicale avrà le caratteristiche di cui abbiamo parlato prima, allora probabilmente, lungo gli anni, potrai osservare dei cambiamenti importanti: ma non possono bastare un’ora, due o tre di attività musicale a settimana per produrre utilmente potenziamento cognitivo.

Inoltre, il potenziare cognitivamente presuppone da parte dell’adulto che conduce la proposta la conoscenza specifica del dominio cognitivo e dei processi di apprendimento: e cioè non basta essere esposti in modo occasionale e non intenzionale a un certo compito cognitivo e/o richieste di apprendimento per sviluppare/solidificare le funzioni e strutture necessarie al processo del risultato atteso! Certo che attraverso la musica si possono sollecitare delle aree di funzionamento più fragili o, al contrario, già solide: ma questo non corrisponde a potenziamento! Ecco perché ritengo FONDAMENTALE che ogni specialista e professionista sappia lavorare in équipe con altro adulto che si occupa della cura di un altro pezzettino dello stesso Bambino: è necessario che l’esperto di musica, soprattutto se intende essere di aiuto allo sviluppo cognitivo del piccolo, dialoghi con la famiglia, con il logopedista, con il neuropsicomotricista, con il maestro di nuoto, di equitazione, con la scuola o chi si occupa di istruzione. Solo così ciascun professionista potrà, attraverso il linguaggio dell’apprendere di cui è capace, sostenere realmente lo sviluppo o il consolidamento di abilità e competenze individuate (da tutti, in modo sinergico) come prioritarie per quella creatura. Diverso è quando, invece, ogni professionista agisce per conto proprio e il Bambino ogni settimana “SPENDE” quantità di tempo e di energie su molti fronti diversi e accendendo tanti domini mentali, ciascuno per un tempo insufficiente per creare modificabilità.

Sintesi: perché la musica (anche la musica) sia realmente di sostegno allo sviluppo di un piccolo, tanto più quando il piccolo fatica realmente, devono esserci almento due condizioni:

  1. avvenire all’interno di una cornice di senso, senza dispendio di energie da parte del Bambino e con la partecipazione attiva e consapevole del Bambino, che allora attraverso l’esperienza musicale potrà acquisire, gradualmente, nuovi strumenti, di cui poi dovrà imparare a generalizzare funzione e uso in altri contesti;
  2. lo specialista della musica deve collaborare con chi si occupa di processi cognitivi dell’apprendere!

L’educazione musicale

  1. Sviluppa competenze musicali.
  2. Attiva altri ambiti attraverso la musicalità, ad es. area psicomotoria, quella cognitiva, quella affettivo – motivazionale

Musicoterapia

  1. Può essere usata per raggiungere obiettivi terapeutici definiti dall’équipe di riferimento della Persona presa in carico
  2. Migliora le capacità relazionali
  3. Sviluppa abilità di base
  4. Favorisce la conoscenza del sé e l’autostima

Suggerimenti che posso permettermi: ciò che pratichiamo anche noi!

Rachele Nicolucci
Mi occupo di apprendimento, dei processi cognitivi dell’apprendere e di metacognizione, a servizio soprattutto di chi non si basta da solo cognitivamente.
Lo faccio in ottica neuropedagogica e della pedagogia della mediazione del dott. Feuerstein.

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